Il superclan dei calabresi
Un comitato d’affari politico-affaristico gestisce gli appalti in Calabria e pilota i finanziamenti dello Stato e dell’Unione europea. Nella depurazione delle acque, negli aiuti alle aziende, nell’informatica, nella sanità... Un magistrato, Luigi De Magistris, lo mette sotto accusa. Il suo capo gli toglie l’indagine. E adesso?
Il thriller giudiziario del momento è ancora aperto a tutti i finali, compresi quelli più drammatici. Il protagonista (l’investigatore) è un giovane magistrato a cui il capo ha strappato l’inchiesta. La location (inconsueta) è Catanzaro, arroccata su tre colli da cui si vede il mare, anzi due. Gli ingredienti (i soliti) sono i soldi, la politica, il potere. Ma declinati in modo inedito: borsoni di denaro nascosto sotto le camicie, una banca compiacente di Milano, importanti politici di Roma, grossi finanziamenti da Bruxelles, appalti truccati, una girandola di società, ripetute fughe di notizie, magistrati infedeli, un alto ufficiale della Guardia di finanza, odore di servizi segreti, grembiulini massonici e tante, tante telefonate (intercettate).
L’ultimo atto del thriller (finora) è una secca esclusione: il procuratore di Catanzaro, Mariano Lombardi, ha tolto l’inchiesta a Luigi De Magistris, il giovane sostituto procuratore che da anni indaga sui malaffari calabresi: le sue inchieste sono arrivate a lambire un importante politico di Forza Italia, l’avvocato Giancarlo Pittelli, amico di Lombardi. Ma hanno coinvolto anche il figlio della compagna del procuratore Lombardi. Anzi: lo stesso procuratore è sospettato di essere lui, proprio lui, quello che ha spifferato agli amici che erano sotto indagine.
Ma per non perdersi in questa storia da vertigini, bisogna partire dal mare. Anzi, dai due mari (lo Jonio e il Tirreno) che si vedono, nelle giornate particolarmente serene, dalla via Madonna dei cieli di Catanzaro.
Poseidone piange. Luigi De Magistris era di turno in procura, nell’estate 2004. Avrebbe preferito andare al mare. Gli atterrano sulla scrivania alcuni esposti: proteste di turisti che si lamentano del mare (anzi, dei mari) della Calabria. Curioso: nella regione si spendono un mucchio di soldi per i depuratori, più di 800 milioni di euro negli ultimi dieci anni; addirittura dal 1997 c’è un commissario straordinario per l’emergenza ambientale; eppure le acque continuano a essere sporche e pericolose per la salute di chi si tuffa dalle coste calabresi, tanto che il presidente della Regione, Agazio Loiero, ha dovuto perfino scusarsi con i turisti, peraltro diminuiti non poco negli ultimi anni. De Magistris comincia diligentemente la sua indagine. È giovane, pieno d’illusioni. Non immagina neppure lontanamente in che guaio si sta cacciando.
All’inizio del 2005 perfino la Corte dei conti, sezione di Catanzaro, evidenzia nella sua relazione le irregolarità nella gestione dei soldi pubblici impiegati per i depuratori. Appalti allegri, collaudi mai fatti. De Magistris indaga. Il ragazzo non guarda in faccia nessuno. L’inchiesta viene chiamata Poseidone, come il dio greco dei flutti. A maggio del 2005 avvengono i fatti salienti del nostro thriller. Quelli che bisogna sapere per capire ciò che è successo oggi.
Mercoledì 4 maggio. A Milano si muove Roberto Mercuri. Gira per il centro. Viaggio d’affari e di piacere. Chi è Roberto Mercuri? È un giovane imprenditore calabrese, ha 35 anni, è ricco di ottimi rapporti con la politica. Ha messo le mani su una seria azienda milanese di progettazione che si chiama Pianimpianti, strappandola ai vecchi manager, ingegneri appassionati del loro lavoro che hanno però dovuto cedere davanti al ragazzotto rampante che promette di portare commesse e appalti. La Pianimpianti è oggi al centro delle indagini di De Magistris per i depuratori calabresi.
Quel mercoledì 4 maggio 2005, Roberto Mercuri, amministratore delegato della Pianimpianti, ha una serie di concitate conversazioni telefoniche. Parla con il fratello, Cesare, che vive a Milano. Parla con Vittorio De Stasio, dirigente della Banca popolare di Brescia. Parla con Giuseppe Galati, politico dell’Udc e allora membro del governo Berlusconi come sottosegretario all’Industria. Parla più volte con Franco Bonferroni, vecchio democristiano diventato senatore dell’Udc. Parla con Annunziato Scordo, commercialista di Giuseppe Chiaravalloti (fino all’aprile 2005 presidente della Regione Calabria) e marito di Giovanna Raffaelli, segretaria e ombra di Chiaravalloti.
In realtà, i contatti tra Mercuri, Galati, Scordo, De Stasio e gli altri quel giorno sono continui, una pallina da flipper che gira e non si ferma mai. Mercuri, Bonferroni, Scordo sono tutti coinvolti nella Pianimpianti.
Due giorni dopo, venerdì 6 maggio. Roberto Mercuri torna a Milano e va dal suo amico De Stasio della Banca popolare di Brescia, nell’agenzia di via Verdi, a un passo dalla Scala. Lì lui e il suo gruppo hanno fatto molte operazioni finanziarie. Quel giorno si limita ad affittare una cassetta di sicurezza, che subito riempie. Poi vedremo quanto.
Martedì 10 maggio. Luigi De Magistris, come suo dovere, informa il procuratore che sta per eseguire perquisizioni a carico di una dozzina di personaggi eccellenti, tra cui l’ex presidente Chiaravalloti, l’ex assessore regionale all’Ambiente Antonio Basile e l’ex direttore generale all’Ambiente, prefetto Giuseppe Mazzitello. Le elezioni regionali si sono già tenute e non c’è più il pericolo di condizionare l’esito elettorale. Nell’aprile 2005 ha vinto Agazio Loiero (centrosinistra), che ha preso il posto di Chiaravalloti (Forza Italia).
Sei giorni dopo, lunedì 16 maggio. I carabinieri fanno le perquisizioni a sorpresa. Non trovano nulla di utile alle indagini. Tranne che a casa di Giovanbattista Papello, che in quel momento è in viaggio negli Stati Uniti. Papello è un uomo di An, molto vicino al viceministro Ugo Martinat. È stato consigliere d’amministrazione dell’Anas e responsabile unico per l’emergenza ambientale in Calabria.
Nella sua abitazione romana gli uomini mandati da De Magistris scoprono un mucchio di roba interessante: oggetti di valore, i documenti di trasporto di una partita di diamanti e libretti d’assegni di molti conti italiani ed esteri, uno dei quali intestato al partito Alleanza nazionale; poi un grembiulino massonico e un biglietto da visita (con numeri di telefono riservati aggiunti a mano) del generale della Guardia di finanza Walter Cretella Lombardo, comandante del Secondo reparto, ossia il servizio segreto interno alla Guardia di finanza; infine alcuni dossier spionistici, con intercettazioni telefoniche illegali di conversazioni avvenute nel novembre 2004 tra il presidente dell’Anas Vincenzo Pozzi e il segretario dei Ds Piero Fassino.
Il giorno dopo, martedì 17 maggio. Un uomo si presenta alla sede di via Verdi della Banca popolare di Brescia. Chiede di accedere a una cassetta di sicurezza. La svuota. Stranamente, quella mattina la telecamera della banca non funziona. Ma oggi sappiamo che quell’uomo è Cesare Mercuri, fratello dell’amministratore delegato della Pianimpianti.
Sera di martedì 17 maggio. Due uomini salgono su un treno che parte dalla stazione Centrale di Milano. La loro destinazione è il Lussemburgo. Alla frontiera, sul treno salgono i militi della Guardia di finanza di Domodossola. Chiedono i documenti ai due uomini: sono Cesare Mercuri (fratello di Roberto Mercuri, quello che ha conquistato la Pianimpianti e ne è l’amministratore delegato) e Giuseppe Mercuri, padre di Cesare e Roberto.
Giuseppe Mercuri esibisce ai finanzieri un documento che dovrebbe farli mettere sull’attenti: il tesserino da Primo dirigente delle dogane. Ma i militi non sembrano impressionarsi: fanno una diligente perquisizione dei bagagli e in un borsone trovano, sotto camicie e magliette, una montagna di biglietti da 500 euro, per un totale di 3 milioni e 354 mila euro. Sono i soldi depositati nella cassetta di sicurezza della banca di via Verdi il 6 maggio da Roberto Mercuri e prelevati il 17 maggio dal fratello Cesare. Sequestrati.
A questo punto si aprono due gialli. Il primo: come mai le perquisizioni ordinate da De Magistris sono state inutili (tranne l’eccezione di Papello)? Il secondo: come mai la Guardia di finanza è andata a colpo sicuro a fermare i due Mercuri, padre e figlio?
La risposta ufficiale è che sono incappati in una perquisizione casuale. De Magistris, in effetti, di quel fortunatissimo controllo alla frontiera non sa nulla. Lo verrà a sapere solo qualche settimana dopo, quando un periodico, Calabria Ora, pubblica un informatissimo articolo firmato da Paolo Pollichieni che non solo racconta dei soldi trovati nel borsone ai Mercuri, ma li mette anche in connessione con l’indagine di Catanzaro. Eppure non c’era, fino a quel momento, alcuna connessione.
Gli spifferi dell’inchiesta. Questa è una storia piena di spifferi. Le conversazioni concitate del 4 maggio 2005, secondo le ipotesi dell’accusa, sono spiegate dal fatto che al gruppo di Mercuri è arrivata la notizia che le indagini potrebbero arrivare fino a loro. Mercuri cerca di mettersi in salvo, mettendo il malloppo al sicuro in una banca del nord. Ma dopo il 10 l’agitazione si fa più acuta. Anche gli amici sono messi in allarme e infatti, quando il 16 maggio arrivano le perquisizioni, non viene trovato nulla, tranne che a casa di Papello, che era in America, o che non viene avvertito.
Dopo le perquisizioni, comunque, Roberto Mercuri capisce che è meglio portare i soldi all’estero. Convince a fare l’operazione il fratello Cesare, del tutto ignaro degli affari di Roberto. Ma qualche uccellino rovina tutto: manda la Guardia di finanza a bloccare il malloppo e poi fa in modo che De Magistris lo venga a sapere: forse per uno scontro di potere tra cordate in competizione tra loro.
Ci sono dei precedenti. Il gruppo di Mercuri è molto sfortunato alle frontiere. Il 24 novembre 2003 erano già stati fermati in auto al valico di Brogeda, vicino a Como, Roberto Mercuri e Nicolino Volpe, l’autista di Giuseppe Galati, sottosegretario alle Attività produttive del governo Berlusconi. Che cosa andavano a fare i due, in Svizzera? Il 21 gennaio 2005, sempre al valico di Brogeda, Nicolino Volpe era stato controllato mente rientrava dalla Svizzera insieme ad Annunziato Scordo, il commercialista di Chiaravalloti. Ma da dove viene tanta sfortuna alle dogane?
De Magistris non potrà più tentare di rispondere. Non potrà più cercare la soluzione di questi due gialli. Perché il 29 marzo 2007 il suo capo gli ha tolto l’indagine, accusandolo di gravi violazioni procedurali. Il procuratore Mariano Lombardi quel giorno ha deciso di astenersi egli stesso dall’inchiesta, in quanto amico di uno degli indagati, il senatore Pittelli, indagato anche per riciclaggio, dopo alcuni accessi in banche, in Italia e all’estero, dove l’esponente di Forza Italia è titolare di conti.
Chiaravalloti, dopo aver terminato la sua esperienza di presidente della Regione, è diventato vicepresidente dell’Ufficio del Garante per la privacy. Una sorte beffarda ora lo costringe a leggere sui brogliacci dei carabinieri le sue parole intercettate dai carabinieri. Non fa mai il nome di De Magistris. Lo chiama “lui”, “il poverino”, “il pagliaccio”. È sempre ben informato sulle mosse del magistrato e sulle scadenze giudiziarie: “Oggi scade per lui il termine per chiedere la proroga...”.
A volte si lascia andare: “Questa gliela facciamo pagare”. Oppure: “Lo dobbiamo ammazzare. No, gli facciamo cause civili per risarcimento danni e ne affidiamo la gestione alla camorra napoletana... Quello che voglio non sono i soldi!”. La segretaria, temendo di essere intercettata, cerca di frenare l’ex presidente: “Ma non dirlo neanche per scherzo, per carità di Dio! Mettiti nei panni di chi è costretto ad ascoltarci...”. E Chiaravalloti: “Poverino, è bene che sappia queste cose, la cosa bella è che abbiamo detto tutto alla luce del sole... Saprà con chi ha a che fare, mi auguro che qualcuno ascolti e glielo vada a riferire... Siamo così tanti ad avere subito l’azione che, quando esploderà la reazione, sarà adeguata!”.
Ma è Pittelli ad apparire l’uomo forte, quello che controlla più parti di una situazione complessa, fatta di alleanze sotterranee e di scontri intestini. Pittelli è amico del procuratore Lombardi, ma anche socio, nella Roma 9 srl, di Pierpaolo Greco, figlio della compagna di Lombardi.
Il comitato d’affari. Secondo l’accusa, in Calabria sarebbe all’opera da anni un comitato d’affari, una “cupola” degli appalti e dei finanziamenti europei. Quello dei depuratori è uno dei business, che ha già bruciato oltre 800 milioni di euro. In questo settore è centrale la Pianimpianti, con numero uno Roberto Mercuri e numero due Franco Bonferroni, vecchio democristiano passato all’Udc.
Bonferroni è il gemello politico di Lorenzo Cesa, attuale segretario del partito. E Cesa, secondo altre indagini di De Magistris, ha succhiato consistenti finanziamenti europei. Con il sistema del sostegno pubblico alle imprese calabresi. La sua Sbp optical disk, che avrebbe dovuto produrre dvd, ha incassato dall’Europa almeno 5 miliardi di lire, ma non ha mai prodotto neppure un bottone. Ma Cesa ha attirato fondi anche attraverso una società romana, la Global Media, che ha fatturato quasi 7 milioni di euro l’anno organizzando eventi per società pubbliche e molto disponibili come Anas, Enel, Finmeccanica, Lottomatica, Alitalia (anche la Pianimpianti degli amici Mercuri e Bonferroni ha versato alla società di Cesa ben 360 mila euro).
La Global Media ha ricevuto anche finanziamenti europei (s’ipotizza una cifra attorno ai 400 mila euro) per organizzare convegni e iniziative per gli italiani all’estero. I fondi passavano attraverso un’agenzia Onu (la Cif Oil), erano giustificati con fatture gonfiate e la differenza tra quanto ricevuto e quanto effettivamente speso veniva poi incamerata da Cesa, che la usava per sostenere l’Udc. A spiegare questo meccanismo ai magistrati romani (che ora lo stanno indagando per finanziamento illecito) è nientemeno che Francesco Campanella, uomo vicino a Bernardo Provenzano, grande riciclatore dei soldi di Cosa nostra e tra il 2003 e il 2005 associato al sistema truffaldino messo in piedi da Cesa.
Anche Campanella, in politica, era schierato con l’Udc e quando si sposò ebbe, come testimoni di nozze, Totò Cuffaro (oggi presidente della Regione Sicilia) e Clemente Mastella (oggi ministro della Giustizia). Poi i magistrati palermitani scoprirono il suo spessore mafioso. Ora, diventato collaboratore di giustizia, Campanella racconta tante vicende siciliane, ma anche la sua esperienza politica e manageriale a Roma, accanto a Lorenzo Cesa, oggi numero uno dell’Udc.
L’Olaf, l’agenzia antifrode dell’Unione europea, ha contestato un reato di frode comunitaria a Papello, Cesa e Fabio Schettini, già segretario dell’ex ministro di Forza Italia Franco Frattini, oggi commissario europeo.
Poi c’è il business dell’informatica. E qui tra i protagonisti c’è Enza Bruno Bossio, la moglie del leader Ds Nicola Adamo. Ricordate la storia di Adamo ed Eva? Nicola Adamo è il politico che dichiarò di essere il padre del figlio di Eva Catizone, sindaco di Cosenza, che nell’estate del 2004 aveva rilasciato un’intervista al Quotidiano di Calabria in cui diceva: “Sono incinta, ma non vi dico chi è il padre”. Adamo rispose, sempre a mezzo stampa: “Il padre sono io”. Il figlio ebbe il cognome del padre, ma la relazione tra Adamo ed Eva s’interruppe. I Ds a Cosenza fecero addirittura cadere la giunta Catizone. E i giornali ironizzarono su finanziamenti finiti “in un clic”. Clic è un consorzio bipartisan di aziende informatiche: presidente, la moglie di Adamo, ma nell’azionariato c’erano aziende della Compagnia delle Opere e due società della famiglia Abramo (Sergio Abramo, sindaco di Catanzaro, era il candidato che il centrodestra aveva contrapposto ad Agazio Loiero).
La moglie di Adamo, Enza Bruno Bossio, ha fama di essere un’esperta d’informatica; certo è la protagonista del Piano telematico regionale, un grande progetto per l’informatizzazione della Calabria in cui sono stati spesi fiumi di denaro pubblico. A giudicare dai robusti investimenti, la Calabria oggi dovrebbe essere l’area più informatizzata d’Europa. Invece, scrive De Magistris, il denaro pubblico è andato ad alimentare “un sistema di collusione criminale con distribuzione di ruoli tra imprenditori, professionisti e pubblici amministratori il cui fine, attraverso la costituzione di società o la partecipazione in società già costituite, era quello di percepire in modo illecito finanziamenti pubblici (nazionali, europei e regionali) per importi di diversi milioni di euro”. Il sistema è bipartisan. La sinistra si è sostituita alla destra, ma grandi differenze ancora non si sono viste.
Infine c’è la sanità. E i soldi da dirottare verso imprenditori amici e uomini di partito diventano un fiume. Che bagna il centrodestra come il centrosinistra. In questo settore le indagini di De Magistris finiscono per incrociare le denunce di Francesco Fortugno, il politico della Margherita ucciso il 16 ottobre 2005 a Locri, davanti al seggio in cui si tenevano le primarie del centrosinistra. “Le mie interrogazioni urgenti”, scriveva Fortugno, “hanno come unico obiettivo quello di far rientrare l’Asl 9 di Locri nell’alveo della legalità”.
In quella azienda sanitaria esisteva un vero sistema di sprechi e favori: “Sono state buttate un mare di risorse per attribuire a persone scelte in modo scriteriato consulenze e contratti d’ogni tipo, quando il lavoro più appropriatamente avrebbe potuto essere svolto con maggiore profitto dai numerosi dipendenti ugualmente retribuiti dall’Asl”. De Magistris è convinto di trovare nelle segnalazioni di Fortugno anche i motivi della sua morte.
Tangenti, favori, appalti, forniture. Ma anche quote e partecipazioni societarie. Il “sistema Calabria” è un intreccio complesso. C’è la ’Ndrangheta, la più potente, ricca e violenta delle mafie italiane. E poi c’è un sistema pervasivo di potere fatto da un coacervo di nomi, organigrammi, società, consorzi, investimenti, appalti, professionisti, delibere. C’è un piccolo documento che lo spiega, lo sintetizza, lo rende comprensibile più di mille discorsi: è il libro soci della Tesi spa, azienda costituita per informatizzare la pubblica amministrazione. Vi si trova il nome di Giovanbattista Papello, An, insieme a quello di Fabio Schettini, intimo dell’ex ministro di Forza Italia Franco Frattini, e a quello di Giulio Grandinetti, segretario particolare del Ds Nicola Adamo, nonché commercialista e socio d’affari di sua moglie Enza Bruno Bossio. Eccolo, il “sistema Calabria”. Le larghe intese? Qui sono già cosa fatta.
Il sistema Calabria. Ora chi proseguirà le indagini strappate a De Magistris? Un magistrato di Catanzaro, il procuratore aggiunto Salvatore Murone, come vorrebbe il procuratore Lombardi? Oppure uno di Salerno, della procura competente per le indagini in cui sono coinvolti magistrati di Catanzaro? La procura di Salerno il 6 aprile ha deciso che non tratterrà l’intero fascicolo, ma indagherà solo sulle presunte fughe di notizie denunciate da De Magistris. Intanto il caso ha coinvolto il Csm, che ha chiamato a riferire i protagonisti del conflitto, il ministero della Giustizia, che ha inviato a Catanzaro i soliti ispettori ministeriali, e l’Associazione nazionale magistrati.
Le mailing list delle toghe si sono infiammate di interventi a sostegno di De Magistris. Qualcuno ha ricordato le parole con cui il giovane magistrato aveva chiuso un suo intervento nel 2005: “È chiaro che chi ha la schiena dritta non se la farà mai spezzare, né si farà mai intimidire da nessuno. Ma questo clima, per certi versi infernale, che va ad aggiungersi a una questione morale che mi pare non si voglia far emergere al nostro interno, condiziona il sereno operare della giustizia, mina la credibilità della magistratura, isola ancora di più tutti coloro che sono impegnati a dare un senso vero a questo lavoro, senza risparmiarsi, in questa terra, in questa bellissima e amata Calabria”.
Diario, 13 aprile 2007
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