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L'Italia dei dolori.
Inchiesta sul partito di Di Pietro
in Campania

di Vincenzo Iurillo

L’ultimo a salire sul carro di Italia dei Valori in Campania è stato il consigliere regionale Stefano Buono. Con questo singolare annuncio: “Entro in Idv e mi candiderò con loro nel 2010, ma fino ad allora continuerò a rimanere nel gruppo dei Verdi”. La ragione però nessuno l’ha chiesta. E nessuno l’ha scritta: in questo modo Buono conserverà la segreteria, i comandati e gli altri piccoli e grandi benefit che spettano ai capigruppo. A spese nostre.
E’ solo l’ultimo episodio e non è nemmeno il più grave. Ma nell’Idv campana la malattia dell’incoerenza tra i princìpi predicati e i comportamenti concreti, invece di essere curata, si incancrenisce. Colpa anche del leader, Antonio Di Pietro. Ha nominato, e sta lasciando al suo posto, una classe dirigente locale disinvolta e fin troppo pragmatica. Che consente l’ingresso a chiunque porti in dote un pacchetto di voti, senza porsi domande sulla qualità del consenso. Fino a trasformare l’Idv in una scombiccherata accozzaglia di reietti di altri partiti. Nei gravi più gravi, un rifugio per riciclati e indagati. Insomma, una sorta di saloon, dove si entra e si esce dalla porta a spinta, senza serratura, e dal quale spesso si fugge dopo aver razziato gli scaffali del bar. Ovvero il voto di opinione.

Ricapitoliamo per i distratti: approfittando anche dei tentennamenti e delle sbandate del Pd, il “gabbiano” di Di Pietro ha fatto il botto alle elezioni europee e viaggia veloce nei sondaggi perché si propone come una forza ‘anticasta’. Come il partito del merito, della lotta all’illegalità, al familismo e agli sprechi. Il partito dell’opposizione senza quartiere a Berlusconi ma anche alle cattive esperienze di amministrazione locale, a prescindere dai colori delle giunte. Il partito che combatte i trasformismi, è al fianco dei magistrati onesti che ficcano il naso nel malaffare, e promuove solo persone coi certificati penali immacolati.
Che bello se tutto ciò fosse vero fino in fondo. Prendiamo il capo dei dipietristi campani, Nello Formisano, deputato di Torre del Greco. Stendiamo un velo pietoso sul fatto che venne folgorato sulla via di Idv dopo essere stato eletto in Parlamento con la Margherita. Chiudiamo un occhio sull’assunzione del figlio nel giornale di partito (poi chiuso): sicuramente è un giornalista in gamba e allora perché penalizzarlo solo perché è figlio dell’ex capogruppo al Senato? Detto questo, potremo mai perdonare Formisano di aver dato l’avallo alla candidatura di Sergio De Gregorio a capolista al Senato nel 2006? Su questa vicenda, una delle cause della morte del governo Prodi, forse non sapremo mai tutta la verità. Recentemente Formisano ha dichiarato al Corriere del Mezzogiorno: “Ci fu proposto da un attuale ministro del governo Berlusconi”. Una sorta di confessione del fatto che Idv non aveva, e non ha, anticorpi al rischio infiltrazioni del nemico. Parole che fanno accapponare la pelle a quelli che parteciparono nel 1999 alla convention di Sansepolcro, evento al quale si fa risalire la nascita del dipietrismo duro e puro. Sarà un caso, ma solo un paio di campani tra i partecipanti di quella convention oggi è parlamentare. E uno di loro è il ginecologo Antonio Palagiano, un galantuomo, uno dei massimi esperti di fecondazione assistita del paese, residente a Sorrento. Imposto però agli elettori lombardi, ed eletto grazie al meccanismo delle liste bloccate. Una legge censurata quando a sfruttarla sono Pd e Pdl. Ma che può sempre tornare comoda quando viene utilizzata per nominare in Parlamento un amico di Di Pietro. L’ex pm di Mani Pulite, infatti, viene spesso in vacanza in costiera sorrentina – alloggia su un albergo a strapiombo sul mare – e si rilassa con lunghe gite sulla barca di proprietà del ginecologo. Una di queste escursioni, nel 2000, si stava trasformando in un naufragio sulla scogliera mal segnalata di Piano di Sorrento. Di Pietro scrisse all’istante un’interrogazione parlamentare per segnalare alle autorità la situazione di pericolo per le imbarcazioni. Nella conferenza stampa convocata nella hall dell’albergo sorrentino, Palagiano siedeva al suo fianco.

Gian Antonio Stella scrisse in “Avanti Popolo” che il vero Di Pietro, uno come De Gregorio lo avrebbe scaraventato dalle scale. Peraltro, sarebbe stato sufficiente fare un paio di telefonate al più scapestrato dai giornalisti locali per scoprire che trattavasi di personaggio in cerca d’autore, amico ed estimatore di Craxi, berlusconiano d’acciaio uscito da Forza Italia per ripicca contro Antonio Martusciello che gli aveva negato un posto in lista alle elezioni regionali, quando ormai mezza Napoli era tappezzata di sei per tre con il suo rubicondo faccione. Per ammortizzare le spese, De Gregorio aveva coperto il logo di Forza Italia con quello della Nuova Dc, portando in dote al partito di Rotondi ben 10mila preferenze. Tantissime, in una lista piccola e non collegata al candidato presidente di centrodestra. Dopodiché, l’abboccamento riuscito con Idv, l’elezione, il quasi immediato ritorno dall’altra parte, con Berlusconi. E Di Pietro che reagisce, nel 2007, accusandolo su Youtube di aver cercato di fare compravendita di senatori Idv per far cadere Prodi in anticipo. Troppo tardi, Tonino. Eppoi, parafrasando Petrolini che a chi lo fischiava dal loggione replicava “Io non ce l’ho con te, ce l’ho con chi non ti butta di sotto”, ci si chiede perché Di Pietro, invece di prendersela con De Gregorio e con le sue note simpatie destrorse, non si sia scagliato contro chi lo infilò in lista.
Già. Ma chi ‘decide’ in Campania? Formisano era ed è il capo. Ma c’è un altro nome che, dopo l’infelice esperienza-De Gregorio, viene sentito con attenzione quando si scelgono le candidature. E’ quello del senatore Nello Di Nardo, stabiese, responsabile nazionale degli eletti, già responsabile della segreteria di Di Pietro al ministero delle Infrastrutture, già sottosegretario all’Interno del governo D’Alema/2. All’epoca stava con Clemente Mastella. Ha abbandonato l’Udeur nel 2006, quando gli fu chiaro che non sarebbe stato candidato. Tre giorni prima della chiusura delle liste rivelò l’ingresso in Idv, non prima di aver trattato una candidatura coi Verdi. Ma Di Pietro gli assicurò una posizione migliore. E c’è chi pensa che il vero motivo dell’astio di Mastella verso Di Pietro – due anni a beccarsi nel governo – derivi proprio dalla concitata composizione delle candidature napoletane delle politiche nel 2006. Quando l’ex pm ‘saccheggiò’ a piene mani tra i mastelliani delusi di stare in tribuna, che accettarono con gioia un posto da titolare nella squadra del gabbiano. Fu così che entrarono in lista Idv il deputato uscente Ciro Borriello, l’ex tesoriere Tancredi Cimmino e, per l’appunto, Di Nardo.

Ed ora gustatevi la storia di Borriello perché è fantastica. E’ un medico specializzato in chirurgia estetica. Nel 2001 si candida alla Camera nel collegio della sua città, Torre del Greco, con Forza Italia, e stravince. Nel 2005 in Campania diversi forzisti fiutano aria di sconfitta e fuggono verso il centrosinistra. Borriello è tra questi, e trova ospitalità nell’Udeur. Ma quando l’anno successivo capisce che Mastella non gli vuole assicurare la conferma in Parlamento, passa armi e bagagli con Di Pietro. “Mastella mi ha tradito – dirà – voleva darmi un posto in lista poco dignitoso. Lui che alle primarie qui aveva preso più voti di Prodi”. Sottinteso: grazie a me. Di qui l’amore improvviso per l’ex pm: “Va bene l’ironia, ma per me non c’è nulla di strano. C’è pure chi si sposa tre volte”. Farà anche di più. Nel 2007 a Torre del Greco ci sono le comunali. Il dipietrista Borriello chiede la candidatura a sindaco per il centrosinistra. Sbatte contro il veto della Margherita, e che fa? Si va a proporre sul tavolo del centrodestra, ricevendo l’ok entusiasta dei suoi vecchi compagni di partito di Forza Italia, di An, e persino dell’Udeur! Voi penserete che Formisano e Di Pietro – soprattutto Di Pietro – mai avrebbero dato l’ok a questa alleanza innaturale con i fedeli dell’odiato Berlusconi? Accade esattamente il contrario. A Formisano non pare vero di poter vantare un sindaco ‘dipietrista’ sulla mappa delle conquiste territoriali, nella sua città, poi. E Di Pietro approva. Arrivando al punto di tenere un comizio a Torre del Greco, sullo stesso palco dove qualche giorno prima era salito Gianfranco Fini. “Siamo qui a promuovere la coalizione del fare” disse l’ex pm, e pareva convinto. Due mesi dopo, nel luglio 2007, Borriello era già su un altro palco. Affianco a Berlusconi, a Napoli, tra i sindaci azzurri in fascia tricolore. Borriello è ufficialmente tornato nel centrodestra nella primavera del 2008, facendosi nominare delegato dell’assemblea costituente del Pdl. Recentemente in un’intervista al quotidiano locale Metropolis ha annunciato l’intenzione di volersi candidare alle regionali nel Pdl.

Idv offre facili sponde al trasformismo. Soprattutto in Regione, dove quasi tutto il gruppo è composto da persone elette in altri partiti. E in altre coalizioni. Francesco Manzi, di Battipaglia, era candidato col centrodestra, lista Nuovo Psi. Subentrò in consiglio regionale in seguito alle dimissioni di Italo Bocchino, l’aennino candidato presidente della Casa della Libertà avversario di Antonio Bassolino. Ci mise pochi mesi ad aderire ai dipietristi. Il napoletano Cosimo Silvestro era stato eletto coi repubblicani. Giuseppe Pietro Maisto, di Villaricca, in Regione ci entrò con l’effige dell’Udeur. E’ passato con Di Pietro quando Mastella fece cadere il governo Prodi. Ed eccoci al secondo biblico esodo degli ex mastelliani verso Di Pietro. Avviene nei primissimi mesi del 2008, quando lo statista di Ceppaloni fucila al Senato la sua ex maggioranza e sé stesso, non riuscendo nemmeno a comporre una lista per le elezioni politiche anticipate. Idv offre un rifugio agli ex udeurrini che rifiutano di obbedire al diktat del segretario regionale Antonio Fantini, che vorrebbe l’uscita immediata dalle giunte di centrosinistra. Giacinto Russo, assessore provinciale di Napoli all’Industria, non ci sta: “Sono stato eletto in una coalizione e voglio rimanere in questa coalizione”. Mantiene l’assessorato e si candida al Senato in Idv al numero 2. A sorpresa viene eletto insieme a Di Nardo. Con Russo, al quale è vicino, aderisce a Idv anche il primo cittadino di Cardito, Giuseppe Barra, ex udeurrino amico di Mastella e protagonista il ferragosto del 2007 di un curioso e increscioso episodio, così raccontato sulle pagine de “La Repubblica” in un trafiletto dal titolo “Sindaco positivo all' etilometro si ribella ai carabinieri, fermato”.

Nel pezzo si legge che “il sindaco, sottoposto a controlli dai carabinieri sulla costa laziale di Scauri e risultato positivo al test dell' etilometro, è andato in escandescenze durante i controlli ed è stato fermato dai militari con l' accusa di resistenza ed ingiurie a pubblico ufficiale. «Lei non sa chi sono io, chiamerò anche il ministro della Giustizia Mastella. State commettendo degli abusi», avrebbe detto il sindaco. Condendo con toni ed espressioni fin troppo accese la sua difesa. Una notte trascorsa quasi completamente tra la stazione dell' Arma del comune di Minturno e la Compagnia di Formia”. Barra ha smentito questa ricostruzione, dicendosi vittima di un “equivoco assurdo”. Ma nel novembre successivo ha patteggiato cinque mesi di reclusione davanti ai giudici del Tribunale di Gaeta, depositando all’atto del concordato questa dichiarazione: “Non voglio inasprire ulteriormente il conflitto tra politici e giudici”. Di Pietro, quello vero, avrebbe commentato: “Che c’azzecca”? E forse ci avrebbe pensato due volte prima di imbarcarsi uno accusato di guidare brillo e di speculare sull’amicizia di Mastella durante un controllo dei carabinieri. In questi giorni Barra si è dimesso da sindaco e autosospeso da Idv, nel tentativo di ricomporre una nuova maggioranza pescando nel centrodestra. Se la manovra fallirà, le dimissioni diventeranno definitive.

Ma le vicende penali di Barra sono sciocchezze rispetto alle accuse che gravano su Americo Porfidia. Il deputato dipietrista, alcuni trascorsi nell’Udc, sindaco di Recale, paese del casertano, nel gennaio 2009 è finito nel fascicolo dell’inchiesta napoletana su Alfredo Romeo, l’immobiliarista romano arrestato insieme a mezza giunta Iervolino in una torbida vicenda di appalti scritti e deliberati secondo i desiderata dell’imprenditore. Porfidia è tra i politici dipietristi intercettati al telefono con Mario Mautone, l’ex provveditore alle Opere Pubbliche arrestato nell’ambito dell’inchiesta Romeo. E il nome di Porfidia salta fuori nella stessa informativa della Direzione Investigativa Antimafia di Napoli che racconta dei favori che Cristiano Di Pietro, il figlio di Antonio Di Pietro, chiedeva all’ex provveditore. Nell’informativa, datata febbraio 2008, si legge: «Nei confronti di Porfidia Americo sono stati effettuati accertamenti effettuati da personale dipendente dai quali è emerso che presso la Squadra mobile di Caserta (l’istruttoria è tuttora in corso) esiste un procedimento penale in carico alla DDA di Napoli, dottor Cantone». La DIA richiama un’informativa del 2005 «con la quale sono state riferite risultanze investigative attinenti all’ipotesi delittuosa di cui all’articolo 416 bis c.p. e ai reati aggravati ex art. 7 L. 203/91 [ossia l’aggravante del dolo specifico di favorire l’associazione di stampo mafioso, n.d.a.]». «Nell’informativa della Squadra mobile di Caserta», conclude la DIA, «il sindaco di Recale Porfidia Americo è stato denunciato all’autorità giudiziaria unitamente ad altre sedici persone». E’ un’indagine di camorra, insomma. Nella quale Porfidia non è indagato per il reato associativo, ma per minacce, relative a un episodio comunque imbarazzante. Secondo l’accusa un boss della camorra avrebbe intimidito il direttore di una clinica per favorire il sindaco di Recale nei suoi affari sanitari, e in particolare nella contesa per il controllo di una clinica di Caserta. “E’ tutto assurdo” ha replicato Porfidia, che si è dimesso da Idv dopo aver inviato una email a Di Pietro.

Se torniamo al Centro Direzionale di Napoli, sede del consiglio regionale campano, si raccolgono altre storie poco amene. Come quella di Cosimo Silvestro. In qualità di capogruppo di Idv, aveva diritto a un lampeggiante e a una paletta con l’effige della Regione. Paletta e lampeggiante ritrovati durante un controllo dei carabinieri nell’auto di un collaboratore della sua segreteria, che viaggiava insieme a due affiliati ai clan camorristici dell’area nord di Napoli. Quando il Corriere del Mezzogiorno pubblica la storia, si assiste al classico ‘gioco delle parti’ che caratterizza i rapporti tra Di Pietro e i suoi vertici territoriali. L’ex pm in un’intervista lancia fulmini e saette contro il capogruppo campano, chiedendone la testa su un piatto d’argento. Più o meno negli stessi giorni, Formisano difende Silvestro in conferenza stampa minimizzando l’accaduto e appigliandosi su alcune piccole imprecisioni dei resoconti giornalistici, che nulla modificavano alla sostanza dei fatti. Comunque Silvestro si è dimesso da capogruppo. Ed è dato in uscita da Idv. Ora il capogruppo è Nicola Marrazzo, incarico che cumula con quello di presidente della commissione Bilancio. Marrazzo compare in alcune vecchie informative di polizia giudiziaria dei primi anni ’90, pur non essendo stato sfiorato da inchieste penali. Ma secondo Franco Barbato, deputato ed ex sindaco anticamorra di Camposano, ce n’è abbastanza per sollevare il caso della questione morale della classe dirigente. Ad Alessandra Arachi del Corriere della Sera spiega: «Ci sono molte brutte storie legate allo scandalo della sua famiglia, suo fratello Angelo, le loro aziende dei rifiuti e il legame con il clan dei Casalesi, ma...». Ma? «Per Nicola Marrazzo non c' è bisogno di scomodare la famiglia». Ovvero? «E' stato appena eletto capogruppo dell' Italia dei Valori alla Regione: Marrazzo ce lo ha messo nel suo curriculum di quando faceva l' assessore a Casandrino?». Doveva mettercelo? «Casandrino, il comune da lui amministrato, venne sciolto per infiltrazioni camorristiche. I carabinieri di Napoli (rapporto 013365/115) hanno indicato Nicola Marrazzo come legato ad un clan della camorra, i Puca. In quel comune, come risulta dalla relazioni dei carabinieri, gli amministratori si dividevano in correnti alquanto particolari...». Marrazzo reagirà a suon di querele.

Tralasciando vicende di interesse giudiziario, lasciano perplessi alcuni comportamenti di tipo squisitamente politico. Inizio 2009, Di Pietro insiste nel chiedere le dimissioni di Bassolino e della Iervolino, campagna che porta avanti senza esito da tempo. Si scontra con il gruppo consiliare che, nei fatti, continua a sostenere la maggioranza e a partecipare alla lottizzazione delle nomine. Farsesca la vicenda della mozione di sfiducia al Governatore. I dipietristi si rifiutano di firmare il documento del centrodestra e sottoscrivono un proprio documento che però, per statuto, essendo firmato solo da quattro consiglieri – ce ne vogliono minimo dodici – non può essere discusso in aula. Risultato: la sfiducia a Bassolino resta chiusa in un cassetto. Ma Di Pietro stavolta sembra determinato a chiedere una posizione netta, senza cedere a giochi e giochini. Come? Vuole che i dipietristi campani si dimettano da ogni incarico di potere in Regione, in Provincia e al Comune di Napoli. Solo Luigi Imperlino, assessore della Iervolino, obbedirà. L’assessore provinciale Aniello Lauri preferirà farsi cacciare da Idv piuttosto che mollare la poltrona. E Marrazzo? Si dimette da presidente della commissione Bilancio. Anzi, no. Ritira le dimissioni a tempo di record. E’ ancora lì. E a fine ottobre riceverà il malloppo dell’ultimo bilancio dell’amministrazione Bassolino, per coordinare i lavori verso l’approvazione. Di Pietro lo sa? E se lo sa, perché quando va in televisione continua a dire che vuole le dimissioni di Bassolino?

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