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Il Caimano e le mozzarelle
di Marco Travaglio
Il Caimano c'è: è una brutta bestia, ha sette vite, è risorto
un'altra volta dalle sue ceneri. Non c'è la Mortadella, che
s'è rivelata una Mozzarella ed è riuscita a resuscitarlo per
l'ennesima volta. Quando si vince per meno di 30 mila voti
su 30 milioni dopo aver condotto per mesi la campagna elettorale
con molti punti di vantaggio, c'è poco da appigliarsi al premio
di maggioranza scattato per la Camera. Quando si pareggia
contro un centrodestra che ha portato il Paese al più grave
disastro della sua storia, c'è poco da recriminare sulla legge
elettorale, alias "porcata"
Quando al Senato si resta indietro di 300 mila voti e si è
costretti a mendicare un voto da un Andreotti e da un Cossiga,
c'è poco da sperare in un governo solido e duraturo. Quale
che sia la conseguenza tecnico-istituzionale che questo pareggio
sortirà nei prossimi giorni e che al momento non possiamo
prevedere, bisogna onestamente riconoscere che, se il centrodestra
è stato bocciato, il centrosinistra non è stato promosso.
E farebbe bene a non nascondersi dietro i numeretti e i tecnicismi,
ma ad aprire immediatamente un severo e impietoso esame di
coscienza.
Un governo così indecente, catastrofico e impopolare, dunque
così facile da battere, non era mai capitato ad alcuna coalizione
in Europa, né probabilmente capiterà mai più. Superarlo di
poche migliaia di voti alla Camera e farsene addirittura battere
al Senato non è un successo esaltante. E' una magra consolazione,
la consolazione dei dannati. L'unico elemento positivo è che
Silvio Berlusconi non tornerà a Palazzo Chigi. Per il resto,
c'è solo da sperare che il governicchio di Prodi duri il più
a lungo possibile. Concentrandosi su pochi obiettivi urgenti,
quelli che accomunano le varie anime dell'Unione, e accantonando
i temi meno centrali, che la dividono. Circondando Prodi di
una scorta umana che lo protegga dalle mire ricattatorie di
questo o quel partito. Respingendo le tentazioni di inciucio
con l'Udc (il partito di Cuffaro) o addirittura con Berlusconi,
il quale non chiede di meglio che sedersi intorno a un tavolo
purchessia per "dialogare" e mercanteggiare su qualunque
favore in cambio delle solite contropartite giudiziarie e
affaristiche. E soprattutto, visto che le prossime elezioni
non saranno fra cinque anni ma temiamo molto prima,
concentrare le energie per una draconiana legge sul conflitto
d'interessi.
Per evitare di ritrovarci, la prossima volta, il solito uomo
solo al telecomando. Intanto, recitare il mea culpa e trarne
le conclusioni del caso. Il capitolo delle colpe infatti è
piuttosto lungo, quasi quanto le 281 pagine del programma
dell'Unione.
1) Mentre il Caimano imperversava in tutt'Italia, su tutti
i giornali, su tutte le tv, andando a strappare i voti uno
per uno negli angoli più reconditi del Paese, le Mozzarelle
si cullavano nella certezza di una vittoria schiacciante (illusi
da soloni come il professor Ceccanti, il quale giudicava "matematicamente
impossibile" quel pareggio al Senato che puntualmente s'è
verificato). Complice il suo monopolio illegale sulle televisioni,
la campagna elettorale l'ha fatta il Cavaliere solitario,
da solo. Gli altri pensavano ai posti da spartire, alle poltrone
da assicurare a mogli, parenti, famigli, amici degli amici.

2) Si sono gettati via molti voti utili, impedendo all'unico
valore aggiunto dell'Unione, Romano Prodi, di far fruttare
il suo contributo. Al Senato s'è gettata la maggioranza alle
ortiche perché il signorino Rutelli ha impedito che anche
lì, come alla Camera, si presentasse la lista dell'Ulivo,
che alla Camera ha totalizzato molti più consensi della misera
sommatoria dei Ds e della Margherita. In entrambe le Camere
si sono buttati dalla finestra altre migliaia di voti, sbattendo
la porta in faccia alle tante liste civiche che chiedevano
soltanto di potersi apparentare alla coalizione: il tutto
perché Prodi non ha avuto il coraggio di imporsi e perché
i maggiori azionisti della sua alleanza, Ds e Margherita,
non volevano rischiare qualche centimetro quadrato del proprio
orticello.
3) Si sono pagati prezzi altissimi per inseguire i Pannella
e i Capezzone nelle loro bizzarrie, in cambio del modesto
2 e qualcosa per cento della Rosa nel Pugno, il partito tutto
mediatico che ha raccolto poco più di quel che avrebbe totalizzato
lo Sdi. Si è addirittura corso dietro a nullità come i socialisti
di Bobo Craxi, neutralizzando segnali importanti come le candidature
di Gerardo D'Ambrosio e Furio Colombo, ignorando offerte di
collaborazione di un pezzo importante di intellettualità e
società civile, come quello rappresentato da Paolo Sylos Labini,
Elio Veltri e Giulietto Chiesa.
4) Ci si è attardati appresso a polemiche ormai sterili sulla
legge elettorale-porcata anziché sfruttarla come un'occasione
imperdibile per chiamare gli elettori a scegliere i candidati
con una grande campagna di primarie, che avrebbe valorizzato
e galvanizzato i 4 milioni e mezzo di italiani che erano corsi
ai gazebo per "investire" l'aspirante premier.
5) Si sono così presentate liste a tratti deludenti, a tratti
imbarazzanti, con capilista giurassici come Ciriaco De Mita,
personaggi inquisiti come Crisafulli in Sicilia e De Luca
in Campania, o condannati come Carra della Margherita, o prescritti
come De Piccoli della Quercia, escludendo nomi forti come
Nando Dalla Chiesa ed esiliando in zone grigie combattenti
come Beppe Giulietti.
6) Si è ceduto alla vanità televisiva, assecondando così (con
l'eccezione di Prodi) l'ansia di presenzialismo del Cavaliere.
Mentre il Professore, giustamente, limitava al minimo le presenze
in video per contestare anche visivamente lo scandalo del
monopolio in mano al suo avversario, disertando gli studi
di Mediaset, gli altri vanesii leader e leaderini facevano
a gara a sfidare a duello il Cavaliere, consentendogli di
realizzare quel giudizio di Dio, quel referendum pro o contro
se stesso che è stato fin dall'inizio lo scopo della sua campagna
solitaria.
7) Una tragica sottovalutazione del fattore-tv come vettore
di voti, frutto di una vecchia arretratezza culturale e di
un'annosa "sindrome da puzza sotto il naso" che porta
la sinistra a non comprendere, e dunque a rifiutare uno studio
attento delle tecniche di comunicazione televisiva più efficaci.
Si pensa che la tv sia un posto da occupare, si piange quando
lo occupa il Cavaliere, ma non ci si domanda mai come usarlo
quando sia pure in condizioni di minorità e di impar condicio
se ne dispone. E, soprattutto, si trascura l'effetto devastante
della scomparsa dei fatti dalla tv berlusconiana, dell'asservimento
dell'informazione con l'espulsione di tutte le voci libere,
della sterilizzazione delle notizie e dei temi scomodi. Col
risultato di sottoporsi alla demonizzazione berlusconiana
a base di accuse false, rinunciando a priori a rispondere
con una demonizzazione a base di notizie vere.
8) Gli errori di comunicazione del centrosinistra sono noti,
ma solo ora se ne possono apprezzare le devastanti conseguenze
nel consentire la rimonta del Cavaliere e nel disperdere il
cospicuo vantaggio accumulato per cinque anni fino a due mesi
dal voto. Un programma interminabile, verboso e illeggibile.
Un messaggio confuso, contraddittorio e cacofonico sul tema
cruciale delle tasse, al quale il premier rispondeva regolarmente
con un messaggio netto e univoco: il suo. Una squadra di consiglieri
e "spin doctor" a dir poco dilettantesca, che non è riuscita
a escogitare un solo slogan efficace per dare l'idea del progetto
di governo dell'Unione (l'unico messaggio a bucare il video,
quello del "cuneo fiscale", non l'ha capito nessuno)
o per far sognare la gente. Nemmeno quando è partita la campagna
delinquenziale del centrodestra per gabellare il centrosinistra
come il governo delle tasse. Il risultato è che Berlusconi
era sempre all'attacco, e l'Unione sempre in difesa. Lui la
lepre, gli altri gli inseguitori. Lui accusava, loro rispondevano
che non era vero. Ma l'agenda la dettava lui per tutti, anche
per i suoi trafelati avversari. I quali avrebbero potuto impugnare
le bandiere della legalità, della pulizia, della libertà d'informazione,
dell'ambiente, insomma di una rivoluzione liberale, invece
hanno sprecato il loro tempo a rincorrere la lepre, promettendo
moderatismo e continuità a un elettorato ansioso di novità
e radicalità.
9) Mentre il Cavaliere s'è concentrato su poche parole d'ordine,
rinviando a dopo il voto le fumisterie del partito unico del
centrodestra, a sinistra si perdevano energie e tempo prezioso
a discettare di Partito Democratico. Un progetto che ricorda
sempre più le tragicomiche vicende della "Cosa 2" di
dalemiana memoria, visto oltretutto il misero risultato raccolto
dai suoi aspiranti fondatori: il deprimente 18 per cento dei
Ds, come l'imbarazzante 10 per cento della Margherita, è un
ottimo motivo per non riparlarne mai più. E per inventare
qualcosa di più appetibile per gli elettori. Magari ripescando
l'idea del Grande Ulivo che tante ironie aveva suscitato fra
gli strateghi del riformismo senza riforme quando Romano Prodi
l'aveva lanciata. Quanti altri fallimenti dovranno collezionare
i Fassino e i Rutelli, cioè i grandi sconfitti del 2001, per
cedere il passo a qualcuno più vincente di loro? Non dev'essere
poi così difficile trovarlo: si parte quasi da zero. Alla
fine dei conti, si ritorna sempre lì: non in piazza Santi
Apostoli, ma in piazza Navona. La piazza Navona del febbraio
2002, quando Nanni Moretti, prima di occuparsi dei Caimano,
si occupò molto opportunamente delle Mozzarelle. E urlò: "Con
questi dirigenti non vinceremo mai" Sarà il caso di replicarlo
in tutti i cinema d'Italia, quel film. "Con questi dirigenti
non vinceremo mai" Presto o tardi, più presto che tardi,
è ora che vadano a casa.
(Micromega, 13
aprile 2006)
Nanni
Moretti. Il 2 febbraio 2002, manifestazione in piazza Navona
organizzata dal comitato «La legge è uguale per
tutti», promosso dal senatore della Margherita Nando
dalla Chiesa. In coda agli interventi programmati, interviene
Moretti: «Con questi dirigenti non vinceremo mai».
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