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L'uso criminoso della tv


di Marco Travaglio

Chapeau. Nemmeno il più feroce demonizzatore, il più accanito antiberlusconiano poteva immaginare la meticolosità, la scientificità, la capillarità del controllo esercitato su ogni minuto, ogni minimo dettaglio di programmazione Rai dagli uomini Mediaset infiltrati da Silvio Berlusconi nel cosiddetto "servizio pubblico". Intendiamoci: la fusione Rai-Mediaset in un'indistinta Raiset al servizio e a maggior gloria del Cavaliere si notava a occhio nudo e questo giornale, da Furio Colombo in giù, l'ha sempre denunciato. Ma le intercettazioni della Procura di Milano, disposte nell'inchiesta sul fallimento del sondaggista del Cavaliere, Luigi Crespi, e pubblicate da Repubblica dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio la privatizzazione della Rai da parte della "concorrenza" e la sua trasformazione in una succursale di Mediaset.

Da sette lunghi anni, cioè da quando Berlusconi tornò al governo e occupò militarmente Viale Mazzini, la Rai è cosa sua, un feudo privato da usare per blandire gli amici, manganellare i nemici, ammonire gli alleati appena un po' critici, ma soprattutto per celebrare le gesta del Capo. Tacendo le notizie scomode, enfatizzando quelle comode, parlando solo di quel che vuole Lui. Non c'è voluto molto per ridurre quella che fu la prima azienda culturale d'Europa e alfabetizzò l'Italia in una miserabile Pravda ad personam: è bastato sistemare una dozzina di visagisti, truccatori e politicanti berlusconiani nei posti giusti e lasciarne molti di più sulle poltrone precedentemente occupate.

Intanto venivano cacciati i Biagi, i Santoro e i Luttazzi, poi le Guzzanti e gli altri della seconda ondata, incompatibili col nuovo corso. Ma non perché fossero "di sinistra". Perché sono fior di professionisti: con due o tre programmi ben fatti avrebbero rovinato tutto. Se qualcuno li chiama per pregarli di nascondere i dati delle elezioni amministrative per non far soffrire il Cavaliere, quelli mettono giù ("uso criminoso della televisione pagata coi soldi di tutti"). I rimasti, invece, obbediscono ancor prima di ricevere l'ordine. Si spiegano così non solo le epurazioni bulgare e post-bulgare, ma anche lo sterminio delle professionalità, soprattutto nella rete ammiraglia di Rai1, affidata (tuttoggi) al fido Del Noce: uno che, oltre ad aver epurato Biagi, è riuscito a litigare persino con Baudo, Arbore, Frizzi, Carrà e Celentano. Chi ha idee e talento ha più séguito, dunque è più libero e meno censurabile, ergo inaffidabile. I superstiti, invece, sono pronti a qualunque servizio e servizietto. Il Papa sta morendo e il Ciampi prepara un messaggio a reti unificate?

Anziché preoccuparsi che la Rai copra la notizia meglio della concorrenza, i dirigenti berlusconiani pianificano una degna uscita mediatica del Capo, onde evitare che il Quirinale lo oscuri. Il Papa muore proprio alla vigilia delle amministrative, distraendo gli elettori cattolici dal dovere di correre alle urne per votare il Capo? Si organizza una serie di "programmi che diano alla gente un senso di normalità, al di là della morte del Papa, per evitare forte astensionismo alle elezioni amministrative". Più che un servizio pubblico, un servizio d'ordine. In cabina di regia c'è la signorina Deborah Bergamini, detta "Debbi", già assistente del Cavaliere, da lui promossa capo del Marketing strategico della Rai, mentre Alessio Gorla, già dirigente Fininvest e Forza Italia, diventava responsabile dei Palinsesti. Al resto pensano i servi furbi. Mimun, si sa, era in prestito d'uso da Mediaset, dov'è poi morbidamente riatterrato.

Non c'è neppure bisogno di dirgli il da farsi: lo sa da sé. E poi assicurano Debbi e Delnox - fa un ottimo "gioco di squadra con Rossella" (Carlo, allora direttore di Panorama, molto vicino al premier e dunque alla Rai). Anche Vespa non ha bisogno di suggerimenti. Del Noce telefona a Debbi per avvertirla che "Vespa ha parlato con Rossella e accennerà in trasmissione al Dottore (Berlusconi, ndr) a ogni occasione opportuna". Qualcuno suggerisce che Bruno potrebbe "non confrontare i voti attuali con quelli delle scorse regionali", per mascherare meglio la disfatta del Capo, o magari "fare più confusione possibile per camuffare la portata dei risultati". Ma poi si preferisce lasciarlo libero di servire come meglio crede, perché dice giustamente la Debbi "tanto Vespa è Vespa".

Ogni tanto c'è un problema: Mauro Mazza, troppo amico di Fini per piacere a Forza Italia, farà la prima serata di Rai2 sulle elezioni. Bisogna sabotarlo, perché quello magari i dati non li nasconde. Idea geniale: Deborah parla con Querci "e gli chiede di mettere una cosa forte in prima serata su Canale5", così la gente guarda quella e lo speciale Mazza non se lo fila nessuno. Del resto è un'abitudine, per lei, concordare i palinsesti con Mediaset: più che del Marketing della Rai, è la capa del Marketing di Berlusconi. Infatti, ancora commossa, commenta così i funerali di Giovanni Paolo II: "Berlusconi è stato inquadrato pochissimo dalle telecamere". Si sa com'è fatto il Cavaliere: "Ai matrimoni - diceva Montanelli - vuol essere lo sposo e ai funerali il morto".

In tutti questi anni, mentre ogni inquadratura di ogni telecamera di ogni programma diurno e notturno di Raiset veniva controllata dai guardaspalle del Padrone, chiunque si azzardasse anche soltanto a ipotizzare che questi signori lavorassero per il re di Prussia, anzi di Arcore, veniva zittito dai "terzisti" e dai "riformisti" come "demonizzatore" e "apocalittico" animato da "cultura del sospetto", incapace di comprendere che le tv non contano per vincere le elezioni; anzi, a parlar male di Berlusconi si fa il suo gioco. Poi veniva querelato e citato in giudizio per miliardi di danni dai Del Noce e dai Confalonieri, sdegnati dalle turpi insinuazioni sulla liaison Rai-Mediaset nel paradiso della concorrenza e del libero mercato.

Dirigenti come Loris Mazzetti e Andrea Salerno, rei di aver chiamato censure le censure, sono stati perseguitati dall'azienda con procedimenti disciplinari. L'ultima è piovuta su Mazzetti,per aver partecipato ad AnnoZero e detto la verità sull'epurazione del suo amico Biagi. Salerno, già responsabile della satira per Rai3 quando c'era ancora la satira, ha preferito togliere il disturbo. Intanto Confalonieri non si perdeva una festa de l'Unità e le quinte colonne berlusconiane facevano carriera in Rai, tant'è che sono ancora tutte lì: Del Noce a Rai1, Bergamini al Marketing, Vespa a Porta a porta. Tutti straconfermati dalla "Rai del centrosinistra".

Ora si spera che, oltre alla solita "indagine interna", fiocchino i licenziamenti per giusta causa, (con richiesta di danni per intelligenza col nemico) almeno per chi ha lasciato le impronte digitali nello scandalo, come accadrebbe ai manager di qualunque azienda sorpresi ad accordarsi con la concorrenza. Ma, onde evitare che la scena si ripeta in un prossimo futuro, licenziare i servi di Berlusconi non basta. Occorre una vera "legge Biagi" (nel senso di Enzo) per cacciare per sempre i partiti dalla Rai e stabilire finalmente l'ineleggibilità dei proprietari di giornali e tv. Sempreché, si capisce, la cosa non disturbi il "dialogo per le riforme". E ora, consigli per gli acquisti.



Rai-Mediaset. Il doppio gioco
di Vespa, Del Noce, Mimun...

di Gianni Barbacetto

1. In un paese normale non sarebbe successo. Non sarebbero successe le incredibile interferenze sulla tv pubblica da parte della rete concorrente privata, volte a favorire l'azienda privata. Di più: volte a favorire politicamente il suo padrone, in quel momento anche presidente del Consiglio. Di più ancora: volte a manipolare l'informazione televisiva (cioè l'informazione, per il 70 per cento degli italiani), decidendo a tavolino che cosa doveva andare in tv (dunque è la "realtà") e che cosa no (dunque non esiste).   

I fatti. Nel corso di un'indagine sul crac Hdc, la società del sondaggista di Berlusconi Luigi Crespi, i magistrati di Milano ordinano intercettazioni telefoniche realizzate tra la fine del 2004 e la primavera del 2005 che, a sorpresa, documentano anche quelle incredibili collusioni. Gli uomini (e le donne) di Berlusconi sistemati in Rai continuano a lavorare per Berlusconi, fanno centinaia di telefonate con i loro "colleghi" restati in Mediaset, si scambiano notizie, si girano informazioni sui palinsesti, decidono come costruire i tg, concordano le strategie informative, fanno (lo dicono loro!) "gioco di squadra".

Protagonisti principali: Debora Bergamini, ex assistente all'immagine di Berlusconi, mandata a fare il dirigente del marketing Rai; Niccolò Querci, ex assistente di Berlusconi e, all'epoca, numero tre di Mediaset; Mauro Crippa, direttore dell'informazione Mediaset; Clemente J. Mimun e Carlo Rossella, all'epoca direttori di Tg1 e Tg5; Fabrizio Del Noce, allora e oggi direttore di Raiuno; Bruno Vespa, allora e sempre re di "Porta a porta".

Qualche esempio. Mimun informa Bergamini e la rassicura sul fatto che le notizie più spinose per Berlusconi saranno relegate in coda al servizio di giornata. Del Noce smussa e assicura che Vespa, nel suo programma, accennerà "al Dottore in ogni occasione opportuna". Querci arriva a occuparsi perfino delle vicende del festival di Sanremo (quell'anno affidato a Paolo Bonolis), cioè della trasmissione di massimo ascolto dell'azienda che dovrebbe essere concorrente.

La manona di Mediaset si allunga sulla Rai anche in occasione della morte del Papa: il 1 aprile 2005 viene ordinato al direttore del Tg3, Antonio Di Bella, di togliere la scritta (che passa durante "Primopiano") che la morte del papa è imminente. Gli viene impedito anche di fare la diretta sull'evento, per non disturbare Berlusconi che in contemporanea è ospite di Vespa a "Porta a porta".

Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi è pronto per una dichiarazione a reti unificate per onorare Giovanni Paolo II, e subito Bergamini fa la spia al "nemico": allerta prima l'assistente personale di Berlusconi Cavaliere e poi chiede a Del Noce di preparare una performance parallela di Berlusconi.

Le elezioni amministrative dell'aprile 2005 vanno male per Forza Italia; niente paura: Bergamini contatta Querci e con lui concorda la programmazione televisiva, la Rai è obbligata a rallentare le notizie per ritardare e diluire la comunicazione della sconfitta.

2. In un paese normale, se fosse successo, la faccenda si sarebbe conclusa in poche ore con le scuse e le dimissioni di Vespa, Del Noce, Bergamini, Mimun, Rossella, Crippa... Nessuno può restare a lavorare in una tv, pubblica ma anche privata, dopo che è stato scoperto un tale livello di manipolazione.

Ma non siamo in un paese normale. Così da una parte hanno detto che non è successo niente. O che comunque non si può dar retta a chiacchiere telefoniche. Curioso: qui non ci sono accuse di altri, erano loro a parlare, erano loro ad accordarsi per imbavagliare l'informazione, per addomesticare la tv pubblica e renderla più debole nei confronti di Mediaset e più succube nei confronti di Berlusconi.

Dall'altra parte c'è chi ha detto: ma di che vi stupite, si sapeva già tutto. Sembra di riascoltare il ritornello sentito dopo lo scoppio di Mani pulite, quando c'era chi diceva: rubavano tutti e tutti sapevano. E no: lo sapevano quelli che rubavano, i quali non solo negavano, ma aggredivano i pochi che lo dicevano e lo scrivevano, chiamandoli bugiardi, denigratori, sfascisti, giustizialisti, nemici dei partiti e quindi della democrazia...

Ora dicono: sai che scoperta, sapere che Berlusconi, da presidente del Consiglio, controllava governo, Rai e Mediaset. Eppure prima delle intercettazioni negavano, sostenevano che i pochi che denunciavano l'incredibile concentrazione dei poteri erano giustizialisti, faziosi, girotondini, ossessionati da Berlusconi. Oggi dovrebbero chiederci scusa. Ammettere di aver avuto torto. Rendere onore ai "demonizzatori". Invece continuano a volerci fare la lezione e dicono: ma sapevamo già tutto.

E no, carini. Lo sapevamo noi, e lo scrivevamo, mentre voi negavate. Ma perfino noi "demonizzatori" non siamo riusciti a immaginare un sistema tanto pervasivo, un accordo così vergognoso, contatti così quotidiani.

E adesso che lo sappiamo davvero tutti?

3. Reazione numero uno: le intercettazioni dovevano restare segrete. Al solito. Il termometro segna una febbre da cavallo e loro dicono: in questo caso non si poteva usare il termometro. Le analisi cliniche rivelano un virus mortale e loro strillano: non si poteva fare l'esame del sangue. "Liberazione", giornale della pericolosa "sinistra radicale", sostiene che gli scandali sono due: l'occupazione berlusconiana della Rai e la pubblicazione delle telefonate che la dimostrano. Ma che cosa c'è di scandaloso nel dare una notizia (e che notizia!) in base a documenti ufficiali e non più segreti? Claudio Petruccioli, divenuto presidente della Rai dopo una visita a casa Berlusconi, fa di meglio: denuncia il vero pericolo che incombe sul servizio pubblico: i "professionisti dell'anti-inciucio".

Ma davvero non si potevano raccontare quelle intercettazioni? Sono state disposte legittimamente. Sono poi risultate non pertinenti all'indagine, dunque non sono state trascritte né utilizzate nel processo Hdc. Ma il pm non può nascondere sotto il tappeto niente del suo lavoro, tutti gli atti d'indagine devono essere disponibili alle parti. Così i brogliacci delle intercettazioni sono stati depositati e messi a disposizione delle difese. Non più segreti, possono essere raccontati. Così, cessate le esigenze di riservatezza necessaria per proteggere le indagini, la pubblica opinione può controllare l'operato dei poteri, anche quello della magistratura: è non un fastidioso contrattempo, ma il sale della democrazia.    

Certo che è curioso, comunque sia, questo sbraitare contro i giornali che raccontano le schifezze d'Italia, invece d'indignarsi contro chi le schifezze le fa. La febbre c'è, il virus l'abbiamo scoperto. Ha senso prendersela con il termometro, con l'analisi del sangue? Certo, tra chi sbraita c'è uno come Fabrizio Cicchitto: come non capirlo, poverino? Finge di difendere le regole dello Stato di diritto, ma difende se stesso e le sue telefonate (proprio come, sui Furbetti del quartierino, avevano fatto Nicola Latorre e Massimo D'Alema)...

4. Reazione numero due: facciamo le riforme. Parola magica, "riforme".   Purifica ogni cosa, santifica ogn'intenzione. Passpartout per ogni porta, in qualunque passaggio difficile. In questo caso, le mitiche "riforme" evocate come l'apritisesamo sono le leggi sul conflitto d'interessi, sul sistema televisivo, sulla Rai. Ma dov'eravate fino a oggi? Sono passati quasi due anni dalla vittoria del centrosinistra e non è ancora stata fatta né la legge sul conflitto d'interessi, né sulla tv commerciale, né sul servizio pubblico. Adesso vedremo se le faranno, o se, passata l'emergenza, torneranno a pensare ad altro.

Poi, se qualcuno non si lascia incantare dalla parola "riforme" ma va a vedere il contenuto, potrebbe scoprire che i progetti depositati in Parlamento dal centrosinistra non risolvono il conflitto d'interessi ma lasciano al padrone di tre reti televisive la possibilità di tenersele facendo politica, e anche facendo il capo dell'opposizione; gliele lasciano a disposizione in campagna elettorale; solo una volta diventato presidente del Consiglio dovrebbe, bontà sua, liberarsene: dandole in gestione a un blind trust che potrebbe essere composto da Bergamini, Crippa, Querci, Del Noce, Mimun, Rossella...

Non risolvono, quei progetti, neppure il duopolio (anzi, monopolio) della tv e della pubblicità, lasciando ben il 45 per cento del mercato nelle mani di un unico operatore. Non rendono possibile l'ingresso ad altri operatori. Né liberano davvero la Rai dall'influenza dei partiti, che manterrebbero comunque la maggioranza negli organismi di controllo.

5. Finito il clamore dei primi giorni, la politica italiana torna ai suoi riti consueti. Prima urgenza, contrattare con Berlusconi le "riforme" (eddagli!) della legge elettorale e di chissà cos'altro ancora. A costo di diluire il bipolarismo e tornare al proporzionale. A questo punto può essere utile ricordare una vecchia storia degli anni Ottanta.

Ricordate l'oscuramento delle tv di Berlusconi deciso dai pretori? A riaccendere i ripetitori del Biscione fu Bettino Craxi, con il suo decreto su misura. Ma fu poi il Parlamento ad approvare il decreto e rendere definitiva la possibilità di trasmettere. Successe il venerdì 1 febbraio 1985, quando il decreto arrivò al Senato. Era l'ultima spiaggia: se non fosse stato approvato entro lunedì 4, il provvedimento sarebbe decaduto e le tv di Berlusconi sarebbero tornate a essere oscurate. La Sinistra indipendente, capeggiata da Giuseppe Fiori, con un escamotage procedurale tira fino alle 23.30. "Se quattro comunisti fossero intervenuti a parlare", scrisse Fiori, "sarebbe passata la mezzanotte e il decreto sarebbe decaduto". Invece il gruppo del Pci rispettò un'ipocrita disciplina di partito: votare contro, ma senza ostruzionismo, permettendo così al decreto di passare. L'ordine arrivò dal giovane responsabile Comunicazione del Pci: Walter Veltroni. In cambio, il Pci ottenne un riassetto della Rai che previde il passaggio di Raitre e del Tg3 al Partito comunista.

(25 novembre 2007)


Cari amici di "Europa",
ecco quattro motivi, anzi cinque,
per considerare politiche
e non personali
le telefonate a luci rosse
di Silvio

«Censurate quelle telefonate», scrive Europa, precedendo come al solito Berlusconi. Sono conversazioni private, che documentano tutt'al più le fantasie erotiche di Silvio. Niente a che fare con la politica. Dunque, giusto impedire le intercettazioni e giustissimo punirne la pubblicazione. Invece no, cari amici di Europa. Lo spiega bene Michele Serra: dei mille casi italiani, quello delle telefonate di Agostino Saccà spiega forse più d'ogni altro quanto il paese abbia scaricato sulle spalle della magistratura scelte (Serra dice: scelte etiche) che dovrebbero essere fatte da altri. Prima che -- extrema ratio - la magistratura sia costretta a intervenire. I dirigenti Rai avrebbero dovuto dire, semplicemente: «Mi scusi, ma di queste cose non posso parlare con lei». Così non è andata. E allora ecco che la magistratura ha dovuto intervenire. Anche perché in quelle telefonate ci sono reati pesantissimi in campo, altro che semplici chiacchiere private, o innocue fantasie erotiche...

Il reato ipotizzato è la corruzione: Saccà avrebbe messo in vendita un bene pubblico (la Rai), favorendo attrici raccomandate da Berlusconi, in cambio dei sostegni promessi da Berlusconi ai suoi business privati. I giudici stabiliranno se reato c'è stato. Ma già fin d'ora la faccenda appare di una gravità sconvolgente. Perché le telefonate dimostrano quattro fatti uno più grave dell'altro:

1. La Rai, cioè la più grande azienda d'informazione e d'intrattenimento del paese, nelle mani dei partiti è diventata un indecente mercato delle vacche, in cui i dirigenti, ma anche i programmi, sono decisi dai politici; in cui protagoniste e comprimarie delle produzioni sono scelte da questo o quel deputato, spinte da questo o quel senatore o sottosegretario... Le finalità sono di volta in volta diverse: far realizzare la fiction gradita alla propria parte politica (come il Barbarossa per la Lega); aiutare l'attore o l'attrice della propria area; trovare un posto per la moglie (Willer Bordon), la compagna (Giuliano Urbani), l'amica di famiglia (Clemente Mastella), l'amante...

2. La Rai, cioè la tv pubblica, è monitorata e controllata dall'interno e dall'esterno dagli uomini e (dalle donne) dal suo principale concorrente, e cioè il gruppo Mediaset (vedi le telefonate di Deborah Bergamini).

3. Silvio Berlusconi, da presidente del Consiglio, continua a occuparsi di Mediaset, alla faccia di chi sostiene che il superamento del conflitto d'interessi. E contemporaneamente si occupa della Rai, delle nomine, dei programmi, perfino delle attrici da far lavorare.

4. Alcune attrici sono da far lavorare in Rai perché servono a uno scambio, a un grande progetto segreto: portare dalla propria parte qualche senatore del centrosinistra, amico o amante delle attrici medesime, così da far cadere il governo Prodi.

Le telefonate intercettate mostrano la volgarità di un mondo e della vita privata dei loro protagonisti. Ma questi sono affari loro. Il problema è che in questo caso il personale è politico, in senso letterale: è tutta politica la vicenda che ne emerge. È politico che la tv pubblica sia dominata dai partiti. È politico che la tv pubblica sia controllata dagli uomini Mediaset, alla faccia della concorrenza. È politico che il presidente del Consiglio continui a comandare nelle sue tv private e nella tv pubblica. È politico che il presidente del Consiglio tenti di rovesciare un governo comprando un senatore attraverso la sua amante piazzata in Rai. È politico, infine, che i criteri di scelta delle donne piazzate dal capo dentro il governo siano sessuali e non politici. E allora: siano benedette le intercettazioni che ancora ci rivelano questi pezzi di realtà, ancora ci mostrano il volto della politica di Berlusconi. Un volto osceno - e non per motivi sessuali. Quando saranno proibite, la faccia oscena della politica resterà davvero o-scena: cioè fuori scena, inconoscibile, nascosta, segreta.

(gb, 2 luglio 2008)



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