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La guerra dei tre anni
La politica (di destra e di sinistra)
contro la magistratura.
1999-2003: La riforma della giustizia penale in Italia,
dal governo dellUlivo a quello del Polo
di Armando Spataro
1.Potere politico e magistratura: un conflitto ineliminabile?
Il quadro politico in cui viviamo, nazionale ed internazionale,
è profondamente mutato. La crisi delle ideologie,
quella economica ed il progressivo abbandono dello stato
sociale favoriscono la ricerca di leaders carismatici cui
affidare il destino dei singoli e delle nazioni. La governabilità,
intesa in tal senso, sembra acquisire sempre più
consensi insieme ad una applicazione incontrastata di principi
liberisti in economia. Forte è lo squilibrio esistente
tra i diversi poteri, cui è affidato il corretto
funzionamento degli Stati moderni ed il potere di governo
accresce la sua influenza su quello legislativo e su quello
giudiziario. Tali tendenze hanno trovato fertile terreno
nella progressiva perdita di peso della politica,
come strumento di confronto delle idee e di composizione
dei conflitti sociali e ciò a causa delle degenerazioni
dei partiti, quali mediatori dei conflitti sociali. La globalizzazione
economica, daltro lato, determina trasformazioni radicali
nella fisionomia tradizionale del mondo giuridico ed unindiscussa
instabilità delle regole in funzione dellandamento
dei mercati e delleconomia; si modificano le fonti
di produzione ed il funzionamento delle regole giuridiche
che si orientano sempre più verso la privatizzazione
ed il decentramento della produzione giuridica; si afferma
un diritto mobile, soggetto a continue manipolazioni e ritocchi,
paralleli alle istanze del mercato: il diritto non più
come scienza ma come tecnica sociale nella quale prevalgono
le posizioni delleconomia e del mercato.
La sopravvivenza della democrazia, allinizio del terzo
millennio, appare dunque affidata alla capacità di
elaborare regole che garantiscano la formazione di un consenso
consapevole in un contesto fortemente influenzato
dai mezzi televisivi, in grado di orientare gli esiti di
competizioni elettorali, e in presenza di una scarsa tutela
dellautonomia e dellindipendenza di chi crea
e fornisce linformazione. Questa, anzi, è destinata
a giocare un ruolo decisivo nei reciproci rapporti tra poteri,
al punto da far pensare che da essa dipenderà in
misura significativa anche lassetto futuro della giurisdizione
. In questo contesto, lautonomia e lindipendenza
dellordine giudiziario assumono un importanza decisiva
per gli equilibri istituzionali e sociali ed il ruolo della
giurisdizione assume un significato centrale : si connota
per la enorme responsabilità di impedire che il diritto
a la carte che caratterizza sempre più
le professioni giuridiche non travalichi nella giurisdizione.
Una giurisdizione, dunque, garante dei diritti ed in grado
- per capacità e tempestività nel rendere
le risposte alle quali è chiamata, per neutralità,
competenza ed altissima consapevolezza del proprio ruolo
di esprimere le proprie decisioni senza condizionamenti
di altri poteri tradizionali e reali.
Ma il potere giudiziario, garante del rispetto delle regole
da parte di tutti, e, necessariamente, anche della difesa
dei diritti dei più deboli e delle minoranze, si
trova gravemente sovraesposto, soggetto a critiche interessate
e di parte: la sua attività che, per definizione,
non può essere condizionata da ragioni di opportunità
e di compatibilità politica, è strutturalmente
alla base di un conflitto potenziale e latente, destinato
ad esplodere, come avviene ogni qualvolta la magistratura
diventa più consapevole del proprio ruolo e più
efficace nella sua azione di contrasto e di repressione
della illegalità, specie di quella che riguarda i
potenti e i centri di potere . Il consenso che
naturalmente lopinione pubblica esprime per tale azione,
ha impedito finora (e forse impedirà anche nel futuro)
una ridefinizione piena dei poteri. Per chi voglia cambiare
il sistema, non resta allora che aggirare lostacolo,
indebolendo il consenso sociale, delegittimando la magistratura,
accreditandola come parte del conflitto per lacquisizione
del potere. Di qui le accuse strumentali di uso dellazione
penale per fini di parte, di faziosità in favore
di questa o quella parte politica, di esistenza di un vero
e proprio partito dei giudici.
A tal proposito, è sufficiente ricordare il consenso,
persino eccessivo, euforico ed acritico, da cui era circondata
la magistratura tra il 92 ed il 93, cioè
al nascere della cd. stagione di mani pulite,
e confrontarlo con i furibondi attacchi che le furono rivolti
a partire dal 94, quando il Presidente del Consiglio
dellepoca si trovò coinvolto nelle inchieste
milanesi: la magistratura non ha bisogno del consenso di
piazza, ma un attacco massiccio e quotidiano alla sua credibilità
si trasforma in un rischio insopportabile per la sua indipendenza
e per lefficacia della sua azione. E chiaro,
dunque, che lautonomia e lindipendenza della
magistratura sono oggi in grave pericolo, nella forma esistente
nel nostro ordinamento costituzionale, perché essa
ha consentito, soltanto applicando fino in fondo la legge,
di spezzare una spirale di corruzione e malgoverno che stava
determinando silenziosamente il collasso del regime democratico.
Può anche trattarsi di riflessioni sullovvio
ma utili a sapere e far sapere quale deve essere limpegno
di quanti non solo appartenenti al ceto degli intellettuali
giuristi - si riconoscono nelle regole fondamentali della
vita politica e sociale e, in particolare, nel principio
di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
2.La crisi della giustizia e i suoi effetti, il controllo
di legalità e lefficienza
A ben vedere, però, ancor più che nelle dinamiche
connesse alla evoluzione dei sistemi di governo ed ai fenomeni
economici, il vero pericolo per lindipendenza della
magistratura sta in una resa del servizio giustizia talmente
insoddisfacente da rendere largamente avvertito il bisogno
di cambiare, cambiare in nome dellefficienza necessaria:
occorre evitare che la direzione del cambiamento sia nel
senso di abbattere o diminuire il controllo di legalità.
Ma sulla nozione di legalità bisogna intendersi:
legalità non significa soltanto che esiste
un corpo di leggi e principi cui cittadini ed istituzioni
devono adeguarsi; significa anche che deve esistere la possibilità
di effettuare un controllo sul rispetto della legalità,
e questo controllo tocca fondamentalmente alla magistratura.
Si può comprendere che chi detiene il potere, il
potere reale, il potere economico ed alcune volte il potere
di governo non sia facilmente disposto a lasciarsi controllare
da altre istituzioni dello Stato, ma letica della
legalità è il rispetto non solo della legge,
ma anche dei meccanismi che la Costituzione e la legge ordinaria
hanno posto a tale scopo .
Nessun discorso sullefficienza possibile, dunque,
può essere utilizzato per soffocare letica
della legalità e nessun discorso sullefficienza
può essere disgiunto da quello sullindipendenza
della magistratura che del controllo di legalità
è, prima di altre istituzioni, indiscutibilmente
investita dalla Costituzione e dalla legge. Si può
comprendere, a questo punto, la vera ragione di tante declamazioni
sui ritardi e sulla inefficienza della magistratura: se
le inefficienze del sistema vengono fatte ricadere sulle
spalle dei magistrati, se si accredita lidea che ciò
sia conseguenza dei loro progetti di farsi soggetto politico
e così intervenire attraverso le iniziative
giudiziarie- nel confronto politico, ne deriva che i cittadini
perdono fiducia nel sistema giustizia ed in chi ne è
diretto protagonista, primi tra tutti i magistrati; ed accade
che vengono agevolati i progetti di controllo della magistratura.
Le riforme, cioè, vengono presentate in funzione
del miglioramento del sistema e nell'interesse dei cittadini
(più ampie garanzie contro gli abusi dei magistrati,
stop allimpunità dei criminali, specie se immigrati,
strade liberate da ladri e prostitute), ma mirano ad altro.
Ed il messaggio, permanentemente diffuso attraverso un sistema
di informazione controllato o non sempre attento, finisce
con il penetrare nelle coscienze dei cittadini non avveduti,
né addetti ai lavori, che finiscono con laccettare
tutto, anche il sacrificio del principio della loro eguaglianza
di fronte alla legge. E esattamente quello che stiamo
vivendo in questa fase storica, che segna un chiaro salto
di qualità, in negativo, rispetto a quanto la politica
giudiziaria ha fatto registrare negli ultimi anni della
trascorsa legislatura. Tutto si giustifica in nome dellefficienza,
ma gli atti concreti, come si dirà, vanno nella direzione
opposta. Dunque, occorre evitare che la crisi gravissima
che attraversa la giustizia venga utilizzata non già
per aggredire le vere cause del disservizio, ma per eliminare
uno scomodo intralcio. Su questo è necessario che
si sviluppi informazione, in particolare sugli effetti devastanti
prodotti dalla più recente legislazione sul processo
penale e sullordinamento giudiziario.
3. La politica giudiziaria del centro-sinistra
Lanalisi della situazione della giustizia in Italia,
tuttavia, non può essere correttamente compiuta se
non si parte dai guasti prodotti nel processo penale dalla
legislazione del governo di centro-sinistra tra il 1999
e il 2001, a partire dalla legge Carotti e dalla riforma
dell'articolo 111 della Costituzione sul cd. giusto processo.
Intanto, qualche preliminare osservazione sul modo in cui
si è legiferato in tema di giustizia negli ultimi
anni della tredicesima legislatura: si è dato luogo
ad unalluvionale produzione legislativa che, specie
nel settore penale, ha di fatto compromesso rapidità
e prevedibilità delle decisioni. Quella legislatura,
infatti, è stata decisamente la più feconda
in materia di giustizia e, soprattutto negli ultimi mesi,
le leggi si sono succedute con ritmo addirittura convulso.
Le responsabilità sia ben chiaro non
stanno solo da una parte visto che le scelte operate sono
frutto di un accordo pressocchè unanime dei due opposti
schieramenti politici; strana convergenza questa, ove si
pensi al clima di scontro acceso che ha caratterizzato i
loro rapporti su qualsiasi altro tema rilevante per il paese.
Un processo di produzione normativa che, peraltro, si è
prevalentemente svolto nelle stanze dei responsabili del
settore giustizia dei vari partiti piuttosto che su impulso
del Ministero di Giustizia: le esigenze della mediazione
politica, dunque, hanno prevalso sul tecnicismo che era
necessario al funzionamento del sistema. Non è quasi
più interessante individuare le ragioni di una così
stupefacente convergenza, anche se si può pensare,
da un lato, al fine di limitare il controllo di legalità
che la magistratura, bene o male, ha assicurato al Paese
e, dallaltro, alla scelta della maggioranza di centrosinistra
di sacrificare parte della propria identità e storia
politica, pur di pervenire alla agognata governabilità,
assunta al rango di valore in sé, persino a prescindere
dai contenuti dellazione di governo.
Lovvietà di questultima affermazione
esime dallapprofondire il discorso; basta richiamare
leccezione che conferma la regola: tra le riforme
mancate o incompiute (elenco che pure annovera il nuovo
diritto societario e fallimentare, listituzione di
camere di conciliazione e di filtri precontenziosi nel civile,
la revisione del sistema delle impugnazioni anche
incidentali ormai incompatibile con le nuove regole
del processo, le misure idonee a realizzare il principio
di effettività delle pene) spicca la mancata ratifica
dellaccordo italo-elvetico sulle rogatorie, cioè
di una legge che si inseriva nel filone di riforme dirette
a recuperare efficienza, perché avrebbe velocizzato
moltii processi e reso più efficace la lotta al crimine
economico transnazionale, in particolare al riciclaggio
di denaro sporco ed alla corruzione. La mancata approvazione
della legge, invece, non solo ha contraddetto lesigenza
conclamata di voler accelerare i tempi dei processi, ma
ha fornito la possibilità (e lalibi), al successivo
governo sorretto da diversa maggioranza, di varare una delle
leggi appunto, quella sulle rogatorie che
più ha diviso il paese e messo in discussione la
credibilità dellItalia nei rapporti internazionali
di cooperazione giudiziaria.
3.a: La politica giudiziaria del centro-sinistra ed il progetto
di riforma della Bicamerale
Punto di partenza della politica giudiziaria dellultimo
governo di centro sinistra fu sicuramente il progetto di
riforma del Titolo VII (La Giustizia) della Costituzione
portato avanti dalla Commissione Bicamerale. Pur se risalente
al 97, è qui necessario ricordare brevemente
che quel progetto il primo passo della controriforma
portata avanti negli anni successivi non era compreso
nelloriginario pacchetto di riforma costituzionale
affidato alle cure della Bicamerale. Un progetto che nacque
allinsegna dellambiguità, sin dalla attribuzione
della presidenza della sottocommissione-giustizia ad un
parlamentare che non poteva essere qualificato un costituzionalista
e che di certo non si era distinto per la serenità
delle sue critiche allazione della magistratura (ci
si intende riferire è chiaro alle posizioni
dal medesimo assunte nella nota vicenda Sofri-Calabresi).
Ma le ambiguità del progetto di riforma costituzionale
della giustizia, che furono concausa della sua fine ingloriosa,
stavano principalmente in questo: nel prevedere alcuni modifiche
dellassetto ordinamentale della magistratura che,
se approvate, ne avrebbero compromesso lindipendenza
così come disegnata dai costituenti. Basti pensare
al ridimensionamento delle funzioni del CSM (art. 121 del
progetto: divieto di esprimere pareri sui disegni di legge
riguardanti la giustizia in assenza di richiesta del Ministro
della Giustizia e formula ambigua - divieto di adozione
di atti di indirizzo politico), alla separazione delle carriere
dei giudici e dei pubblici ministeri (art. 120 c.4 : suddivisione
del CSM in due sezioni rispettivamente per giudici e p.m.;
art. 124 c.3: introduzione di concorsi riservati per il
passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti
e viceversa), allattribuzione del potere disciplinare
ad un Procuratore Generale eletto dal Senato con maggioranza
qualificata (art.123), allattribuzione al Ministro
della Giustizia di competenze nella formazione propedeutica
allesercizio della professione giudiziaria (art.128).
Sul piano sostanziale, lart.129 del progetto di riforma
era diretto a costituzionalizzare quei principi che
si è soliti definire con la formula diritto penale
minimo , ma il risultato fu deludente: le proposte
della Bicamerale relative al diritto penale sostanziale
non appaiono particolarmente qualificanti..non corrispondono
agli obbiettivi indicati nella relazione Boato: non rappresentano
un passo verso la costituzionalizzazione del diritto penale
minimo, non offrono argini normativi più solidi per
la tenuta del principio di legalità, che anzi esporrebbero
a nuovi rischi, non valgono a contrastare efficacemente
i pericoli dellinflazione legislativa e dellignoranza
della legge penale da parte di chi sia tenuta ad osservarla.
Affondata la Bicamerale, però, non si fermò
il percorso del centrosinistra verso un programma di riforma
della giustizia ispirato da logiche compromissorie e di
ricerca, per quella via, del consenso dellelettorato
moderato.
3.b: la politica giudiziaria del centro-sinistra e gli interventi
sul diritto penale sostanziale
La tredicesima legislatura non presenta, nel settore della
giustizia, un armonico disegno di riforma riguardante, in
modo ragionato, diritto penale, diritto processuale, diritto
penitenziario e ordinamentale, ma è caratterizzata,
invece, da interventi occasionali, spesso dettati, nel campo
penale, da logiche emergenziali. Ampiamente insoddisfacente
è stata, da un lato, la risposta fornita allesigenza
di fronteggiare il sistema di corruzione emerso con Tangentopoli
dal 92 in avanti: essa si è sostanzialmente
concretizzata nella nuova formulazione del reato di abuso
dufficio ex art. 323 C.P. (L. 16.7.97, n. 234, art.1),
peraltro criticata in dottrina sia dal punto di vista della
adeguatezza rispetto allo scopo di costruire una fattispecie
più determinata della precedente, sia da quello politico-criminale;
nel D.L.vo 8.6.2001, n. 231, che ha inteso riformare il
mondo delle imprese, introducendo forme di responsabilità
amministrativa per persone giuridiche, società etc.
(con scelta la cui portata deve essere ancora apprezzata)
e nel D.L.vo 10.3.2000, n.74 che, presentato come riforma
epocale nel settore penale-tributario, ha suscitato molte
riserve per la resurrezione del concetto di imposta evasa,
che rischia di far riemergere, a sua volta, la problematica
della pregiudiziale tributaria che si era voluta seppellire
nell82.
Dallaltro lato, non si può non rammentare
la mancata approvazione della riforma del diritto societario
che pure prevedeva nel testo della commissione Mirone
lintroduzione di due figure di reato, come
linfedeltà patrimoniale e la corruzione in
ambito societario, da tempo individuate dalla dottrina come
tasselli indispensabili di un moderno sistema di diritto
penale societario . A logiche emergenziali, invece, sono
chiaramente ispirati i discutibili interventi nei settori
della immigrazione e della criminalità di strada.
Ci si riferisce alla introduzione (attraverso la legge Napolitano
Turco) della figura delittuosa del favoreggiamento
della permanenza illegale degli stranieri (art.12, n.5,
D.L.vo 25.7.98, n. 286), ispirato alla logica del fare terra
bruciata attorno allo straniero irregolare e fondata, però,
su una previsione contrastante con il principio di determinatezza
delle condotte sanzionabili previsto dalla Costituzione;
ed alla configurazione come fattispecie autonome (art.624
bis C.P., introdotto con il cd. Pacchetto sicurezza,
L.26.3.2001, n.128) delle ipotesi del furto in appartamento
e del furto con strappo, originariamente previste come circostanze
aggravanti nelloriginaria versione dellart.625
C.P., così introducendo un consistente inasprimento
sanzionatorio delle pene previste dal Codice Rocco (secondo
una gerarchia di valori che privilegiava la tutela dei beni
patrimoniali) come conseguenza dellimpossibilità
di operare un giudizio di comparazione tra aggravanti ed
eventuali attenuanti. Qualè il significato
politico di interventi di questo tipo se non
il perseguimento della carcerizzazione dei soggetti deboli
con conseguente abbandono di ogni politica di sostegno ai
medesimi e lesaltazione del verbo della tolleranza
zero? Di fronte al dilagare della filosofia sicuritaria,
insomma,il centrosinistra ha scelto la strada della carcerizzazione
della devianza marginale.
3.c: La politica giudiziaria del centro-sinistra e gli interventi
sul diritto processuale penale
Non vi è stato, in questi anni, un solo esponente
del ceto politico che, parlando dei problemi della giustizia
in Italia, non abbia posto in cima alla lista delle sue
preoccupazioni il tema della insopportabile lunga durata
dei processi e lesigenza di porvi adeguatamente rimedio
: anzi, la intervenuta modifica dellart.111 della
Costituzione, pur se comprendente anche altri principi,
è stata presentata alla pubblica come prodotto della
inderogabile necessità di costituzionalizzare il
principio della ragionevole durata dei processi. Come mai,
allora, il processo penale è ormai ridotto ad una
corsa ad ostacoli dai tempi infiniti e dagli esiti imprevedibili
ed il generale trend legislativo, anziché ispirarsi
a quel principio, ha moltiplicato garanzie formali che nulla
hanno a che fare con il vero diritto di difesa e che compromettono
non solo le esigenze di celerità e di sicurezza sociale,
ma anche i diritti delle parti offese dai reati? Ogni risposta
è possibile, da quella che ricorda (vedi sopra) il
sacrificio delle ragioni tecniche sullaltare della
mediazione politica (oggi si chiamerebbe inciucio), a quella
che non esclude una sequenza di errori di un legislatore
in buona fede (sordo, però, allesigenza di
porvi rimedio), fino allipotesi certamente
malevola- di una legislazione finalizzata alla precostituzione
di mezzi, per chi ne ha la possibilità, per difendersi
dai processi, piuttosto che nei processi.
E interessante, comunque, ricordare che, nella primavera
del 2000, alcuni giudici della Corte europea di Strasburgo,
che così frequentemente condanna lItalia per
i tempi lunghi dei processi, dinanzi ad una delegazione
del CSM, hanno qualificato il nuovo testo dellart.111
della Costituzione eccessivamente rigido rispetto sia al
contenuto dellart.6 della Convenzione Europea sui
diritti delluomo, sia alla stessa giurisprudenza della
Corte. Ed hanno puntato il dito contro un sistema, il nostro,
che prevede la esecutività delle sentenze dopo tre
gradi di giudizio, oltre che una illimitata possibilità
di impugnazioni incidentali (ad es., sulla libertà
e sui sequestri di beni). Non pare, dunque, che, come al
Paese è stato fatto credere, la modifica dellart.
111 risponda alla necessità di adeguamento della
Costituzione e del processo penale agli standard europei!
Così, pur in presenza della positiva riforma istitutiva
del giudice unico di primo grado (D.L.vo 19.2.98, n.51 e
successive modifiche), la situazione è diventata
ad un certo punto quella di un processo assolutamente
ingestibile, che non funziona in alcuna sede giudiziaria.
Le disfunzioni sono così numerose che ne è
qui possibile solo unelencazione molto sommaria; a
titolo meramente esemplificativo:
-la legge Carotti (16 dicembre 1999, n. 479 - Modifiche
alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale
in composizione monocratica e altre modifiche al codice
di procedura penale. Modifiche al codice penale e allordinamento
giudiziario), inizialmente pensata per adeguare alcune norme
del codice di rito alla riforma del giudice unico, ha finito
con lintrodurre alcune modifiche che nulla hanno a
che fare con la riforma stessa e che hanno creato ulteriori
incompatibilità per i giudici, difficoltà
allespletamento delle indagini ed imponderabile prolungamento
dei tempi dei processi (ad es. conseguente allart.
415 bis CPP); si è poi ristrutturato il rito abbreviato
e solo dopo (con il D.L. 7.4.00 n.82, conv. in L. 5.6.2000,
n. 144) ci si è accorti che si doveva intervenire
sui termini di custodia cautelare ed evitare lindiretta
abolizione dellergastolo per i reati di mafia;
- la modifica dellart.111 della Costituzione con linserimento
dei principi del cd. giusto processo (L. cost.
23.11.99 n.2), come da più parti è stato rilevato,
è stato lo strumento con cui ridurre a più
miti consigli una recalcitrante Corte Costituzionale (più
volte intervenuta sullart. 513 del Codice di rito
in senso sgradito al legislatore ordinario). Nondimeno,
essa è entrata nel genoma della Carta, mutuando,
ma solo in parte, principi estratti all'articolo 6 della
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, con una formulazione
di dettaglio più adatta ad una norma processuale
che a quelle fondanti l'ordinamento . Si tratta di una norma
che, ormai, ha reso obiettivamente più difficile
laccertamento della verità e la tutela dovuta
alla società ed alle vittime dei reati; si pensi,
ad esempio, alle difficoltà del P.M. per dimostrare,
con il metodo ordinario di acquisizione della prova ed al
fine di poter utilizzare le dichiarazioni rese da un collaboratore
durante la fase delle indagini preliminari, lintervento
di violenze, minacce e promesse di utilità che lo
abbiano indotto a tacere in sede dibattimentale;
- solo dopo un pericoloso e lungo intervallo di oltre un
anno, sono intervenute, a seguito della modifica dellart.111
Cost., le norme attuative del principio del giusto
processo (L. 1.3.01, n.63, Modifiche al C.P. ed al
C.P.P. in materia di formazione e valutazione della prova
in attuazione della legge costituzionale di riforma dellart.111
della Cost.). La legge non ha avuto gestazione facile e
sui due punti essenziali del provvedimento, il diritto al
silenzio ed i limiti all'utilizzabilità degli atti
compiuti prima del dibattimento, non v'è stata concordia
di vedute. Solo grazie ad una febbrile attività di
fine legislatura, alla fine, ha prevalso una soluzione di
compromesso: il frutto di quella logica è però
un testo difficile, per certi verso farraginoso, che comunque
disegna un itinerario faticosamente sproporzionato rispetto
alla meta che si propone di raggiungere . E diventata
difficoltosa per il P.M. persino lindividuazione della
figura giuridica del dichiarante erga alios: alla persona
informata sui fatti, allimputato ed allimputato
di reato connesso, infatti, si è aggiunto, infatti,
limputato giudicato per reato connesso o collegato
che assume lufficio di testimone. A tale catalogo
si aggiunge quello della serie complessa di avvertimenti
dovuti, la cui omissione o irregolarità può
determinare inutilizzabilità assolute o relative.
Si dà vita, dunque, ad un meccanismo di straordinaria
complessità che partorisce, alla fine, ben miseri
risultati se è vero che le dichiarazioni dellimputato
giudicato diventato testimone hanno lo stesso valore e regime
di quelle previste dal coimputato (art. 192 c.3 cpp);
- la legge sulle investigazioni difensive (L. 7.12.2000,
n. 397) è un unicum nel panorama mondiale, attribuisce
al difensore diritti e facoltà senza correlativi
doveri, nonché una libertà dazione non
concessa ai PM (basti pensare alla possibilità di
investigare anche prima delliscrizione di una notizia
di reato ed alla mancanza di regole per la documentazione
degli atti compiuti): insomma una legge che reca benefici
soprattutto a potenti e criminali di rango;
- la nuova disciplina per i collaboratori di giustizia (L.
13.2.2001 n.45) risolve il problema della protezione dei
testimoni puri, del catalogo dei diritti dei collaboratori,
della proporzione tra gravità dei reati commessi
e riduzione della sanzione conseguente alla collaborazione,
ma per altro verso introduce soluzioni di
dubbio fondamento giuridico (tra cui la possibilità
di accordare la protezione speciale ai soli parenti conviventi
dei collaboratori) che potrebbero disincentivare la collaborazione
stessa. Inoltre, sanzionando le cd. "dichiarazioni
a rate" dei collaboratori, si è prevista tout
court l'inutilizzabilità delle notizie di reato pervenute
al PM per quella via, dando vita - però - ad un regime
che confligge con il principio della obbligatorietà
dell'azione penale.
- tralasciando la nuova legge sul gratuito patrocinio (L.
29.3.2001, n. 134), certamente inidonea a scoraggiare le
impugnazioni temerarie (visto che lo Stato giunge comunque
a farsi carico delle relative spese), particolarmente preoccupante
appare la L. 6 marzo 2001, n. 60 (Disposizioni in materia
di difesa dufficio): dallobbligo, per il P.M.,
di dare avviso allindagato delle facoltà
e dei diritti attribuitigli dalla Legge (art.369 bis,
c.2 cpp, introdotto dallart.19 della Legge) derivano,
quale conseguenza, lingestibilità ed il rischio
di nullità di esami ed interrogatori. Avviso a proposito
del quale tutte le Procure dItalia si sono impegnate
nella formulazione di moduli quanto più omnicomprensivi
possibile. Ed il numero verde dei Consigli dellordine
forense (art. 29 c. 2 norme att. del cpp, come modificato
dallart. 8 dalla stessa legge), introdotto al fine
di garantire la comunicazione da parte dei Consigli dellordine
forense dei difensori dufficio da nominare, sta producendo,
finora, ostacoli non solo allespletamento di attività
istruttorie spesso urgenti, ma finanche rinvii di udienze
dibattimentali a causa dellirreperibilità dei
difensori dufficio e di chi dovrebbe reperirli;
- la legge Pinto (L.24.3.2001, n.89, Previsione di equa
riparazione in caso di violazione del termine ragionevole
del processo) ha imposto nuove incombenze, ingolfandole,
alle Corti dAppello, prevedendo velleitariamente il
termine di quattro mesi per la decisione sulle istanze di
riparazione, introducendo una sorta di presunzione di negligenza
del giudice, per di più con possibile efficacia retroattiva
e favorendo evidentemente una tendenza alla burocratizzazione
del loro lavoro di cui non savvertiva certo il bisogno.
Molto altro - e più approfonditamente - potrebbe
essere detto sulla crisi del processo penale, le cui prospettive
appaiono allarmanti, ma ai fini di queste riflessioni bastano
questi pochi rilievi per poter affermare con certezza che
i problemi che lo affliggono e lo rendono inidoneo al raggiungimento
dei suoi fini (laccertamento della verità)
non sono collegati al deficit di organico dei magistrati
(o, semmai, lo sono solo in minima parte e soprattutto con
riferimento allorganico del personale ausiliario),
ma dipendono da una legislazione a cascata, quella descritta,
che ha moltiplicato formalismi e garanzie apparenti e compromesso
lefficienza possibile. I vertiginosi cambiamenti cui
il codice è stato sottoposto non ne lasciano più
intravedere i connotati Ecco perché, più che
al recupero dellefficienza complessiva del sistema,
queste riforme secondo quanto diffusamente ormai
si afferma - sono servite solo ad introdurre quel garantismo
selettivo che, senza riguardi per la tutela dei diritti
delle parti offese e della collettività, è
utile solo a chi ha le possibilità (economiche o
politiche) per ostacolare la definizione dei processi .
4. Il salto di qualità con il nuovo governo: dal
garantismo selettivo al diritto dei forti
Ora, con la nuova legislatura, la situazione è precipitata
e si è registrato un salto di qualità in pejus,
preoccupante sia per la già compromessa efficienza
del sistema, sia per lindipendenza della magistratura.
Un salto di qualità che passa attraverso leggi, atti
amministrativi del Governo, disegni di legge e programmi
di riforma ordinamentale.
Vanno ricordati, a proposito di leggi e accordi internazionali:
- il D.L. 25.9.01, n. 350, conv. in L.23.11.01 n.409 sul
rientro occulto capitali illeciti costituiti allestero,
per cui, con una mera dichiarazione ed il pagamento di una
modesta somma, chi ha accumulato capitali comunque detenuti
allestero (dunque, anche costituiti illecitamente),
ottiene garanzia di anonimato e sicurezza di non incorrere
in altri accertamenti al rientro dei capitali in Italia);
- la legge delega sui reati societari e la riforma del falso
in bilancio (L.3.10.01 n.366 e D.L.vo 11.4.02, n.61), che
avrebbero dovuto logicamente rendere credibile agli occhi
del mercato, sempre più aperto al controllo degli
imprenditori stranieri, limpegno a reprimere le disinformazioni
societarie, così intensificando laccertamento
e la repressione di un reato riscoperto perseguendo
i reati di corruzione di Tangentopoli. Invece, al di là
del più favorevole trattamento sanzionatorio, si
tratta di leggi che hanno pregiudicato la trasparenza delleconomia,
con effetto criminogeno ed in controtendenza rispetto alla
realtà internazionale , che hanno reso più
difficoltose le indagini dei p.m., determinando, altresì,
la pratica abrogazione del reato di falso in bilancio; ciò
anche attraverso la conseguita quasi certezza di pervenire
alla prescrizione del medesimo, nonostante la raccomandazione
n.R(96) del Comitato dei ministri del Consiglio dEuropa
del 5.9.96 (..in materia di criminalità economica
le disposizioni relative ai termini di prescrizione dovranno
essere riviste in modo da lasciare alle autorità
competenti il tempo necessario alla raccolta di prove);
- la L. 5.10.01, n.367 sulle rogatorie internazionali, sulla
quale, al di là del dibattito lacerante che ha determinato
nel Paese, è sufficiente ricordare che si pone in
controtendenza rispetto ai principi della collaborazione
diretta e senza formalismi, contro ogni forma di criminalità,
che la comunità internazionale ha da tempo adottato.
E una legge, dunque, che non risponde all'interesse
pubblico bensì a quello di alcuni imputati, tanto
è vero che le eccezioni proposte dai loro difensori-parlamentari,
respinte dai tribunali della Repubblica, sono poi diventate
leggi dello stato, naturalmente con efficacia retroattiva
che inficia la utilizzabilità delle prove già
acquisite;
- il compromesso sul mandato darresto europeo dell11.12.2001
al vertice di Laeken (dopo un primo voto contrario del 6
dicembre), rispetto al quale il Governo, dopo varie polemiche,
ha espresso la propria soddisfazione, che maschera un involucro
vuoto, visto che la sua effettività è rinviata
a tempi indefiniti ed a riforme indefinite che dovrebbero
interessare lordinamento giudiziario e la Costituzione.
Rispetto a tutte queste scelte, è sufficiente, per
marcarne il significato di atti irragionevoli e contrari
allinteresse pubblico, ricordare le reazioni della
attonita comunità internazionale: il modello italiano
di contrasto del crimine organizzato, verso cui essa ha
mostrato grande attenzione fino ad adottarlo spesso come
modello comune, è irrimediabilmente in crisi, con
compromissione dellimmagine del Paese. E lo scenario
verosimilmente si aggraverà con la prossima legge
di ratifica della Convenzione di Bruxelles del 2000 sullassistenza
giudiziaria nel settore penale che prevede, con un assurdo
giuridico, lutilizzabilità probatoria degli
atti e dei documenti provenienti da un altro stato solo
se formati secondo le regole del Codice di Procedura Penale
italiano, anziché secondo la lex loci;
- la riforma del C.S.M. e la modifica della relativa legge
elettorale (L.28.3.2002, n.44), fondata sulla separazione
dellelettorato passivo (inevitabile passaggio verso
la introduzione della separazione delle carriere) e sulla
riduzione del numero dei suoi componenti, con la quale si
è voluto allevidenza mortificare listituzione
che rappresenta e tutela i magistrati, tentando di ridurla
al rango di organismo burocratico, competente solo sulla
amministrazione del personale;
- la legge Cirami sul legittimo sospetto (L. 7.11.2002,
n. 248 : Modifica degli artt. 45, 47, 48 e 49 del CPP) è
un fulgido esempio di intervento legislativo rispondente
agli interessi di pochi; eppure, secondo le parole del Presidente
del Consiglio, ha costituito una una priorità assoluta
per lazione di governo. Persino il ministro fascista
Dino Grandi, attraverso una direttiva piuttosto chiara che
inviava a tutti i tribunali italiani nel 1939 ("Per
quanto concerne la remissione per motivi di legittimo sospetto
occorre che i capi delle procure generali si attengano a
una concezione rigorosamente ristretta dell'istituto"),
consigliava di usare la legittima suspicione con estrema
cautela. Ma la storia giudiziaria italiana (processi per
la strage di Piazza Fontana, per le schedature alla Fiat,
per il disastro del Vajont, solo per fare alcuni esempi)
non sembra interessare lattuale maggioranza che non
appare per nulla preoccupata delle conseguenze di questa
legge: sottrazione di molti processi al loro giudice naturale,
non solo quelli con imputati eccellenti, ma
anche contro mafiosi e criminali comuni dogni genere;
blocco dei dibattimenti con inevitabile allungamento dei
tempi di durata, dispersione delle prove raccolte.
Non meno preoccupante è il quadro degli atti amministrativi
del Governo e, in particolare, del Ministro della Giustizia:
nel settembre del 2001 è stata disposta la revoca
o la riduzione delle misure di protezione ai magistrati
più esposti (atto non riconducibile al Ministro ma
allintero Governo); nellottobre dello stesso
anno, si è realizzata una vera e propria epurazione
dellufficio legislativo del Ministero a seguito del
parere relativo alla legge sulle rogatorie e della convinzione
espressa dal Ministro secondo cui i magistrati che vi prestano
servizio, dovrebbero nutrire le sue stessa convinzioni in
tema di riforme.
Anche la vicenda dellOlaf è allarmante: lo
stesso ufficio antifrode, di natura sovranazionale e pattizia,
ha protestato e fatto sapere che nessun governo può
interferire sulle nomine dei funzionari comunitari, come
ha fatto il nostro, il 21.11.2001, applicando una legge
del 62 per bloccare la destinazione allOlaf
di tre magistrati, vincitori di regolare concorso, i quali
avrebbero indagato sui cd. reati dei colletti bianchi.
Ed, infine, la bomba-intelligente dellintervento
ministeriale sul giudice Brambilla (31.12.01, a Capodanno,
venendo meno ad una prassi generalizzata, il Ministro nega
la proroga del trasferimento di un magistrato ad altro ufficio,
disponendo che vi prenda immediatamente possesso; solo lintervento
del Presidente della Corte dAppello che applica il
giudice al Tribunale, evita il peggio), di gravità
inaudita, posto che si è trattato di un intervento
relativo ad uno specifico processo (Sme-Mondadori) che vede
come imputati il Presidente del Consiglio e uomini a lui
vicini.
Ove si ponga attenzione, poi, alle più recenti iniziative
di parlamentari dellattuale maggioranza, ed agli ulteriori
progetti di riforma ordinamentale sul tappeto, si potrà
concludere che la situazione descritta tende ulteriormente
a peggiorare:
- la già citata unanime riforma dell'articolo 111
della Costituzione, evidentemente buona per ogni scopo,
è servita prima a giustificare la modifica della
composizione del Csm, poi per spiegare la "filosofia"
della legge Cirami sul legittimo sospetto ed, infine, per
portare avanti l'ulteriore fase di distruzione del processo
penale con la proposta di legge Pittelli (Modifiche al Cpp
ed al Cp in attuazione dei principi del giusto processo,
che unifica varie proposte di parlamentari della Casa della
Libertà, tra cui quella dellon.le Anedda ed
altri; contiene ardite previsioni in tema di incompatibilità
ed obblighi di astensione per giudici e p.m., di informazioni
di garanzia (fino allillogica proposta di avvisare
l'indagato sin dal momento dell'apertura di uninchiesta);
prevede, altresì, il divieto di acquisire sentenze
ormai definitive (nei processi di mafia, è stato
detto, si dovrà provare ogni volta, ex novo, lesistenza
e la rilevanza giuridica di Cosa Nostra), labolizione
del valore di riscontro incrociato delle dichiarazioni
di più collaboratori (potendo il riscontro consistere
solo in ulteriori elementi di diversa natura, documentale
o testimoniale), il ricorso immediato in Cassazione, con
sospensione del dibattimento fino alla decisione, avverso
ordinanze del giudice che decidono questioni preliminari
o attinenti le richieste di prova, labolizione della
possibilità per il giudice di acquisire
dufficio, al termine dellistruttoria dibattimentale,
nuove prove di cui ravvisi lassoluta necessità
ai fini della decisione; la concessione obbligatoria delle
attenuanti generiche per gli incensurati (quali sono di
solito i white collars), il che significa meno pena
per i potenti (sempre che si riesca a processarli).
Insomma, nullità e novità procedurali destinate
a scardinare il processo penale;
-il progetto governativo di riforma dellordinamento
giudiziario riporta la Cassazione al vertice della magistratura,
il Ministero ad interferire pesantemente con le competenze
del CSM e pone in pericolo la cultura giurisdizionale e
lautonomia del P.M. .Si insiste sulla separazione
delle carriere tra giudicanti e requirenti , nonostante
il 26 giugno del 2000 la Commissione del Consiglio dEuropa
per i problemi legati alla criminalità abbia approvato
una raccomandazione agli stati membri perché favoriscano,
ove i rispettivi ordinamenti lo consentano, linterscambio
di carriere tra P.M. e giudici, onde realizzare un maggior
livello di garanzie per i cittadini;
- ed a breve si parlerà anche di riforma del diritto
minorile e del processo del lavoro che rispettivamente significano
lindebolimento della tutela dei minori e della funzione
di garanzia esercitata dalla magistratura del lavoro in
Italia, e la cancellazione di decenni di elaborazione culturale
e di affinamento di preziose specializzazioni; di sganciamento
dell'attività della P.G. dalla direzione e dal controllo
del P.M. (di cui sè già visto un significativo
anticipo nel D.L. 18.10.2001, n. 374, conv. in L. 15.12.01
n.438, Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo
internazionale) e della attribuzione al Parlamento, su proposta
del Ministro, delle scelte delle priorità investigative
(il che sarebbe sufficiente di per sé a vanificare
il principio di obbligatorietà dellazione penale
ed a depotenziare il ruolo del P.M., senza neppure necessità
di sottoporlo al controllo dellesecutivo); di privatizzazione
del processo civile, formula forse abusata che, però,
suona allarmante per chi abbia a cuore il ruolo del giudice
anche in un processo, come quello civile, che muove su impulso
di parte; di revisione delle sentenze definitive (proposta
di legge Pepe-Saponara), ancora con la giustificazione che
si tratta di conseguenza dellintroduzione dei principi
del giusto processo in Costituzione (si sostiene, di conseguenza,
che dovrebbe essere possibile la revisione delle sentenze
passate in giudicato sotto il precedente regime);
di reintroduzione della immunità parlamentare (proposta
dellon.le N.Palma) e di inutilizzabilità delle
intercettazioni telefoniche riguardanti i parlamentari (Zanettini);
- è già allopera, inoltre, una Commissione
incaricata di predisporre la riforma del Codice Penale,
ma non appare utile, in assenza di documenti, fondare un
giudizio sulle sole parole del suo Presidente che ha anticipato,
comunque, un profondo intervento depenalizzante. Sarà
un codice di maggioranza, stile riforma del falso in bilancio
?
- avanza pure lintesa sul progetto di un indulto generalizzato
(se non proprio di amnistia), che, come sempre in questi
casi, non risolverà i problemi strutturali della
giustizia (ad es., quello della inadeguatezza del sistema
carcerario), vanificherà il lavoro di anni delle
forze dellordine e della magistratura e renderà
ancora più incerto il principio della effettività
della sanzione penale;
- sta per essere varata, infine, lennesima Commissione
ministeriale, quella cui sarà affidata la revisione
del Codice di Procedura Penale, secondo linee guida ancora
sconosciute ma che, prevedibilmente, ricalcheranno quelle
della proposta Pittelli.
Intanto, il Ministro della Giustizia riduce i fondi a disposizione
delle Corti dAppello per la ordinaria amministrazione
e dichiara al CSM che ciò risponde alla necessità
di tenere fede allimpegno di ridurre la pressione
fiscale sui cittadini, assunto durante la campagna elettorale
dalla coalizione politica di cui egli è espressione
. Ed anche questo dimostra che lefficienza del sistema
in nome della quale si giustificano così pesanti
interventi non è sicuramente in cima alle
preoccupazioni di questa amministrazione, essendo ormai
chiaro che la causa dellattuale situazione non è
linefficienza, ma proprio lefficienza dimostrata
dalla magistratura contro mafia e corruzione! Si spiegano,
così, le ripetute accuse di parzialità e mala
fede rivolte ai magistrati anche dal Presidente del Consiglio,
da Ministri e sottosegretari: è in corso da tempo
un attacco alla giurisdizione che non ha precedenti, avviatosi
originariamente nei confronti dei magistrati di Milano e
Palermo ed ormai esteso ai giudici del lavoro ed a quelli
minorili. E mai così intensi, come in questi ultimi
anni, sono stati gli interventi del C.S.M. a tutela dei
singoli magistrati, della loro funzione e dellindipendente
esercizio della giurisdizione. La crisi della divisione
dei poteri si è mostrata in tutta la sua pericolosità
in Senato, il 5 dicembre 2001, allorchè è
stata approvata, a maggioranza, una mozione in cui si denunciavano
riunioni clandestine tra giudici e PM per trovare il modo
di violare la legge sulle rogatorie e si bocciavano senza
appello linterpretazione della medesima adottata dai
collegi giudicanti milanesi (indicando loro quella che sarebbe
stata corretta) e le decisioni da questi assunte in tema
di impedimenti a comparire in giudizio di imputati parlamentari
. Nello stesso senso, peraltro, vanno le reazioni del mondo
politico alla sentenza di condanna del sen. Andreotti emessa
il 18.11.2002 dalla Corte dAssise dAppello di
Perugia (tra le tante, si distinguono le dichiarazioni del
Presidente del Consiglio on.le Berlusconi: la condanna
a 24 anni di carcere comminata al senatore Andreotti è
l'ultimo stadio di un teorema giudiziario attraverso il
quale settori politicizzati della magistratura hanno cercato
di cambiare il corso della politica democratica e cercano
di riscrivere la storia d'Italia"), al punto che esponenti
della maggioranza e dellopposizione, dopo tanto battagliare,
si sono trovati dun tratto daccordo nella necessità
di porre rimedio alla crisi della giustizia con un rinnovato
progetto di riforma del settore. Viene da chiedersi a cosa
siano serviti oltre tre anni di ininterrotte riforme promosse
dai due schieramenti politici e se non si tratti di un ritorno
dello spettro travestito- della commissione bicamerale
. Ma quale riforma, poi, potrebbe impedire una sentenza
non gradita?
Si va consolidando, insomma, la sovrapposizione della legittimazione
politica proveniente dal consenso popolare a quella della
legittimazione del controllo di legalità, nel senso
che i rappresentanti espressi dal popolo (secondo regole
di legittimità proprie del principio maggioritario)
mostrano la pretesa di assumere su di sé il controllo
di legalità, denunciando il mandato a
ciò conferito agli appartenenti allordine giudiziario,
nelle forme e nelle ipotesi previste nella carta costituzionale
e nella legge ordinaria. E il vecchio sogno napoleonico
del potere politico assoluto, che mette in gioco, però,
la qualità della democrazia. Addirittura, nel Programma
di riforma della giustizia 2002 di Forza Italia e
della Casa della Libertà, si legge: Se con
Tangentopoli la Magistratura non avesse ceduto alla tentazione
ed alla pretesa di giudicare e condannare il sistema politico
nel suo complesso, ma i singoli rei o i singoli reati, la
questione morale avrebbe fatto passi da gigante; la
magistratura, quindi, viene insensatamente accusata anche
di avere ostacolato la riforma morale del sistema politico.
Si comprende, allora, che il problema non è più
quello della ragionevole durata del processo in astratto,
ma quello della possibilità di ragionevole celebrazione
di tutti i processi, anche di quelli a carico degli imputati
eccellenti.
L'uso delle Camere per far approvare leggi tarate a misura
degli interessi privati di alcuni imputati rappresentanti
della maggioranza stravolge lo stato di diritto ed il principio
di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge,
nonché la funzione nelle moderne democrazie del Parlamento
quale luogo in cui la sovranità popolare si esercita
mediante l'emanazione di regole generali a tutela di tutti
i cittadini e non di un gruppo di privilegiati. Questa preoccupazione
è stata anche espressa dal Relatore speciale sullindipendenza
dei giudici e degli avvocati della Commissione delle Nazioni
Unite per i diritti delluomo con una lettera del 23
gennaio 2002 diretta al governo in cui rilevava la continua
interferenza tra classe politica e classe giudiziaria, poi
il 26 marzo con la relazione per la 58.a Sessione annuale
della Commissione dellONU per i diritti delluomo,
tenutasi in quel giorno a
Ginevra (nella quale, tra laltro, dichiarava di condividere
le preoccupazioni dei giudici, dei pubblici ministeri e
dei professori
, ..di essere convinto che
siano ragionevoli i timori dei giudici e dei P.m. che vedono
minacciata la loro indipendenza..in quanto ..sebbene
gli attacchi del Governo siano stati indirizzati nei confronti
di singoli giudici e pubblici ministeri, deve essere ricordato
che la contestazione a pochi viene percepita come un attacco
all'intero ordine giudiziario, oltre che un attacco al principio
di legalità ) ed infine il 2 luglio con una
nota al governo in cui ha manifestato le sue perplessità
per la legge Cirami.
Siamo, ormai, alla tutela del diritto dei forti
e sono a rischio la stessa esistenza di una magistratura
indipendente dal potere politico, il principio di eguaglianza
dei cittadini di fronte alla legge e la funzionalità
della giustizia in ogni sua articolazione. Il dibattito
su questi temi, evidentemente, non può interessare
solo i magistrati. Il mondo accademico ha espresso la sua
solidarietà in difesa dei principi costituzionali
che oggi appaiono a rischio: oltre trecento professori universitari
di diritto hanno aderito al manifesto del 7 dicembre 2001
con cui si deplorava come un inaudito atto di interferenza
nella sfera della giurisdizione la già citata mozione
approvata dal Senato il 5 dicembre 2001; e si succedono,
frequenti, le loro prese di posizione contro la produzione
di un diritto penale orientato e la strumentalizzazione
o introduzione nellordinamento di istituti processuali
in funzione di interessi preesistenti (da ultimo, ad es.,
150 accademici hanno firmato un documento contro la legge
Cirami).
Dallavvocatura giungono, invece, segnali contraddittori:
disponibilità al dialogo degli avvocati civilisti
e di organismi rappresentativi della categoria nella sua
unità, ma venti di guerra da parte di molti penalisti:
nel programma del neo eletto Presidente dell'Unione delle
camere penali si legge, infatti, che "L'Unione rivendica
la centralità e l'insostituibilità della sua
azione quale unica portatrice organica e disinteressata
di un modello equo equilibrato e democratico di giustizia,
anche di fronte alle timidezze, ai compromessi ed alle amnesie
di quell'Accademia che ci ha lasciato soli in tutti questi
anni a difesa dei diritti individuali, salvo ad insorgere
premurosamente in difesa delle posizioni anche più
retrive di certa magistratura. Dove inaccettabili
sono laffermazione di considerare quellassociazione
come unica possibile detentrice di un modello democratico
ed ideale di giustizia, le accuse rivolte al mondo accademico
da sempre attento al tema delle garanzie e lattribuzione
delle posizioni più retrive a quei giudici
(pur non espressamente nominati) che si sono fedelmente
attenuti al compito di interpretare la legge, reagendo con
il solo silenzio alle ripetute aggressioni del potere politico.
Ma l' altra avvocatura esiste ed è capace,
come fa giornalmente, di impegnarsi in una difesa ad oltranza
dello Stato di Diritto.
Quanto alla magistratura, nella sua stragrande maggioranza,
non si è fatta intimidire e ha sin qui mostrato grande
dignità e compattezza, avendo anche adottato iniziative
forti e senza precedenti : ci si intende riferire alle ripetute
prese di posizione del Consiglio Superiore ed alle manifestazioni
di protesta iniziate del corso delle cerimonie di inaugurazione
dellanno giudiziario del 12 gennaio 2002 e culminate
poi nellastensione dal lavoro proclamata dallAssociazione
Nazionale Magistrati ed attuata il 20.6.02. Ma è
evidente che solo lazione compatta del ceto dei giuristi
(in quanto tecnicamente qualificato) ed il risveglio della
società civile (in quanto depositaria dei valori
fondanti della democrazia), di cui si colgono ormai ripetuti
segnali, potrà invertire la tendenza e sollecitare
le preoccupazioni di quanti, in ogni schieramento politico,
hanno a cuore il principio di legalità. Per tutti
costoro, la difesa dei valori esistenti è il programma
del futuro, è la strada da cui passa ogni progetto
di efficienza.
Giornale di Storia contemporanea, 20 novembre 2002
La mia riforma della Giustizia
di Armando Spataro
Le ultime polemiche, successive alle sentenze di condanna
del sen. Andreotti per lomicidio Pecorelli e di Giovanni
Scattone e Salvatore Ferraro per lomicidio di Marta
Russo, rispettivamente emesse dalle Corti dAssise
dAppello di Perugia e di Roma, hanno improvvisamente
riacceso il dibattito sulla urgente necessità di
una riforma del sistema giudiziario.
Lhanno invocata il Presidente del Consiglio, ma anche
esponenti di rilievo della maggioranza e della opposizione
politica. Anzi, poco dopo la sentenza Andreotti, i Democratici
di sinistra hanno presentato un documento propositivo che,
seppur generico nelle enunciazioni, consta di 5 obiettivi
e 19 proposte per modernizzare lamministrazione.
Vari commentatori, poi, hanno tratto spunto da queste sentenze
per chiedere interventi di natura radicale, primo tra tutti,
come era prevedibile, la separazione delle carriere. Non
è ormai giunta l'ora di passare ai fatti ?"
si chiede Angelo Panebianco sul Corriere della Sera dell1
dicembre, visto che tutte le forze politiche sono
daccordo.
Balza subito agli occhi lassenza di relazione tra
le sentenze criticate e la necessità di una riforma
globale della giustizia. Nel caso di sentenze
emesse dai giudici della Repubblica, infatti, sono in ballo
solo le regole del giudizio. Non importa neppure che nei
due casi citati le sentenze siano state emesse da Corti
dAssise: conta, invece, che le sentenze sono lespressione
di competenze attribuite esclusivamente ai giudici della
Repubblica e che, per convenzione, esse vanno accettate
come frutto del tentativo di approssimazione alla verità
storica dei fatti, che procede attraverso i successivi gradi
di giudizio previsti dal nostro ordinamento. Dunque, le
sentenze si possono impugnare e criticare, anche duramente,
ma non si vede quale ipotizzabile riforma della giustizia
possa evitare che un giudice (monocratico o collegiale,
laico o professionale o a composizione mista) emetta una
sentenza sgradita o non condivisa da tutti.
In particolare, non ha in alcun modo a che vedere con i
temi strumentalmente evocati da queste clamorose sentenze
la riforma dellordinamento giudiziario, a proposito
della quale si pone innanzitutto un primo ed essenziale
interrogativo: di quale progetto stiamo discutendo? Con
quale possibile intervento riformatore dovremmo confrontarci?
Linterrogativo non è provocatorio, posto che
lo stesso Ministro della Giustizia, intervenendo il 10.4.02
dinanzi al CSM che gli chiedeva una presa di posizione dinanzi
ai molteplici progetti alternativi provenienti dalla stessa
maggioranza politica di cui egli fa parte, si è limitato
a richiamare lovvio rispetto del governo per la sovranità
parlamentare: un richiamo nientaffatto rassicurante,
a dire il vero, ove si pensi che il programma del partito
di cui egli stesso fa parte prevede in tempi non definiti
lelezione dei pubblici ministeri prima e dei giudici
poi. Se dovessimo limitarci, dunque, allanalisi
dei progetti che nascono in via Arenula, si finirebbe con
ladottare una prospettiva assolutamente miope alla
luce di quanto avvenuto con altre recenti leggi devastanti,
nate o peggiorate fuori dal Ministero. Il tema suggerisce,
invece, inquietanti interrogativi sulla reale autorevolezza
politica di un Ministro i cui progetti vengono regolarmente
e significativamente modificati in sede parlamentare su
iniziativa di alleati di governo, senza palpabili resistenze
da parte sua. Per un dialogo costruttivo, in definitiva,
è necessario ricevere preliminarmente assicurazione
che le decisioni eventualmente assunte dal Ministro di Giustizia
a nome del Governo costituiscano effettivamente lindirizzo
politico di tutta la maggioranza.
I progetti di riforma ordinamentale, peraltro, vengono presentati
con motivazioni chiaramente allusive che poco hanno di tecnico
e di riferibile ai problemi reali del sistema giudiziario:
addirittura, nel Programma di riforma della giustizia
2002 di Forza Italia e della Casa della Libertà,
si legge: Se con Tangentopoli la Magistratura non
avesse ceduto alla tentazione ed alla pretesa di giudicare
e condannare il sistema politico nel suo complesso, ma i
singoli rei o i singoli reati, la questione morale avrebbe
fatto passi da gigante, ove la particolarità
sta nel fatto che la magistratura viene insensatamente accusata
di avere ostacolato la riforma morale del sistema politico.
Né è possibile tranquillizzarsi ove si consideri
che il responsabile del settore giustizia del partito di
maggioranza relativa, il 21 febbraio 2002, nel corso di
un convegno tenutosi alla Camera dei deputati, ha dichiarato
che
il CSM ha assunto una dimensione eccessiva,
ha subito una trasfigurazione ed ha interferito con le scelte
politiche, aggravando lo stato dei rapporti tra istituzioni,
che la magistratura è lunica istituzione che
non è legata al sistema dei pesi e contrappesi; che
il PM si muove secondo la scala delle sue opzioni morali
e reclama il massimo della indipendenza e ciò è
antidemocratico e impone il raccordo istituzionale attraverso
la scelta delle priorità da parte del Parlamento.
Del resto, la relazione daccompagnamento al disegno
governativo di legge delega per la riforma dellordinamento
giudiziario (approvato dal Consiglio dei Ministri il 14.3.2002)
non contiene proposizione chiarificatrici; si ha la sensazione,
anzi, di una motivazione che procede per slogan, con tecnica
da marketing, introducendo un progetto meramente simbolico:
si parla di significativa riforma dellordinamento
giudiziario che la dimostrata inadeguatezza del servizio
Giustizia a soddisfare le esigenze dei cittadini
come attualmente disciplinato induce a ritenere improcrastinabile,
di necessità di assicurare una risposta ad
esigenze largamente avvertite nellopinione pubblica
di cui il Governo si è fatto portatore fin dal momento
delle proprie dichiarazioni programmatiche...
Tutto viene giustificato in nome delle aspettative e richieste
della pubblica opinione, nonché, naturalmente, della
efficienza : ma nè il nuovo ruolo che si vuole disegnare
per la Cassazione, né la mortificazione del CSM,
né la Scuola di formazione sottratta al circuito
dellautogoverno o i nuovi ed invasivi poteri del Ministro
di Giustizia hanno nulla a che vedere con le aspettative
della gente. Ed è difficile, altresì, credere
alle preoccupazioni per lefficienza del sistema di
chi riduce i fondi a disposizione delle Corti dAppello
per la ordinaria amministrazione e dichiara al CSM che ciò
risponde alla necessità di tenere fede allimpegno,
assunto durante la campagna elettorale, di contenere la
pressione fiscale sui cittadini.Altri colleghi, in questo
giornale, esaminano i numerosi aspetti tecnici per cui è
criticabile il disegno governativo di legge delega; del
resto, il parere approvato dal CSM il 12.6.02 (significativamente
definito dal Ministro Castelli ...un atto politico,
il canto del cigno di un CSM che sta per scadere)
lascia ben poco spazio ad apprezzamenti e condivisioni degli
orientamenti che esso esprime.
Anzi, ne sottolinea la non corrispondenza alla chiara indicazione
di prospettiva contenuta nel testo della VII disposizione
transitoria del testo costituzionale che parla di una nuova
legge sullordinamento giudiziario in conformità
con la Costituzione : è agevole rendersi conto,
infatti, che non si è in presenza di una legge di
riforma organica dellordinamento giudiziario, bensì
di interventi frammentari che in larga misura si pongono
in contrasto con le norme costituzionali sullassetto
organizzativo e sul governo autonomo della magistratura,
oltre che con le disposizioni dettate dal Costituente un
tema di legislazione delegata (lesercizio della
funzione legislativa non può essere delegato al Governo
se non con determinazione di principi e criteri direttivi:
art. 76 Cost.).
E inutile negarsi, comunque, che uno degli aspetti
più preoccupanti della riforma allorizzonte,
se non il centrale, è quello della separazione delle
carriere, che pone in pericolo la cultura giurisdizionale
e lautonomia del P.M.. Nella citata relazione daccompagnamento
al disegno governativo di legge delega, infatti, si dice:
Nel dettare allart.5 i principi ed i criteri
cui il Governo dovrà attenersi nellemanare
le norme disciplinanti il passaggio dallesercizio
delle funzioni giudicanti a quelle referenti e viceversa,
si è ritenuto di rispondere, anche sulla scorta dellesperienza
maturata in altri Paesi di avanzata democrazia, allesigenza
ormai largamente diffusa nella cittadinanza secondo cui
occorre prevedere una specifica distinzione tra i magistrati
che esercitano le funzioni giudicanti e requirenti
le due funzioni richiedono una diversa formazione e diverse
attitudini professionali.
Si tratta di affermazioni non solo inquietanti, ma anche
imprecise nel riferimento al contesto internazionale qui
insolitamente valorizzato dal Ministro: infatti, si trascura
o si ignora che il 26 giugno del 2000 la Commissione del
Consiglio dEuropa per i problemi legati alla criminalità
ha approvato una raccomandazione agli stati membri perché
favoriscano, ove i rispettivi ordinamenti lo consentano,
linterscambio di carriere tra P.M. e giudici, onde
realizzare un maggior livello di garanzie per i cittadini.
Le preoccupazioni aumentano, poi, se si considerano le ripetute
dichiarazioni del Presidente del Consiglio circa la necessità
di separare le carriere o si ricordano le promesse formulate
da illustri parlamentari-avvocati della maggioranza a Sirmione
(4-6.10.02), in occasione del Congresso dellUnione
delle Camere Penali (la separazione delle carriere si farà!);
né sono confortanti alcune posizioni che si manifestano
allinterno dellopposizione parlamentare ed i
continui equivoci semantici attorno al binomio separazione
della carriere separazione delle funzioni alimentati
da chi dovrebbe ben sapere che il nostro ordinamento già
prevede funzioni separate! Ancora nellultimo documento
programmatico dei D.S. si propone la Netta separazione
delle funzioni tra P.M. e giudici, dove la novità
rispetto agli equivoci del passato sta nellaggettivo
netta (!!) di cui non è ancora chiaro
il senso giuridico.
Lo stesso Ministro della Giustizia sembra spesso ondeggiare
tra il richiamo lessicale ora alluna ora allaltra
delle due opzioni, senza che sia dato di comprendere esattamente
se pure in questo campo sarà lasciato ampio spazio
alle iniziative parlamentari modificative dei suoi progetti.
Singolare, del resto, è apparso il suo atteggiamento
in occasione della giornata di astensione dal lavoro proclamata
dallAssociazione Nazionale Magistrati ed attuata il
20.6.02: ne ha chiesto fermamente (quanto inutilmente) la
revoca, affermando che diversamente si sarebbero azzerate
le pallide linee di intesa su possibili modifiche al progetto
governativo di riforma ordinamentale individuate nel corso
di alcuni incontri con rappresentanti dellANM : si
sarebbe, insomma, tornati indietro al progetto iniziale!
Con ciò dimostrandosi quanto reale fosse la sua pur
dichiarata volontà di dialogo con la magistratura
associata e quanto evanescente quella di apportare modifiche
ragionevoli ai disegni iniziali.
E torniamo, così, a parlare ancora del dialogo possibile:
lAssociazione Nazionale Magistrati ha concretamente
dimostrato e non solo in questi ultimi dodici mesi
di essere disponibile ad un confronto realmente mirato
alla modernizzazione dellordinamento in modo che lorganizzazione
giudiziaria possa rispondere anche allesigenza della
ragionevole durata dei processi. Ma disponibilità
al confronto non significa affatto accettazione acritica
di scelte anacronistiche, come quelle che riportano la magistratura
al passato, attraverso lesaltazione della carriera
formale che così gravi danni ha arrecato alla giurisdizione,
del conformismo giurisprudenziale e dellidea
che non risponde ai bisogni di una società moderna
di ordinare i magistrati in una sorta di piramide
al vertice della quale vi è la Cassazione, per i
cui componenti si disegna un discutibile doppio binario
per laccesso ed un regime differenziato anche sul
piano economico.
Qualsiasi confronto sulla giustizia ha senso solo se si
svolge entro un quadro di obiettivi e valori generali condivisi,
non se, in nome di un astratto modernismo, si intende scardinare
un sistema rispondente al dettato costituzionale ed al principio
della divisione dei poteri. E giusto, dunque, che
lANM pretenda chiarezza dai potenziali dialoganti,
anche da coloro che si collocano nellarco dellopposizione
parlamentare i cui progetti di riforma pure suscitano dubbi
ed obiezioni non marginali (così quelli sulla netta
separazione delle funzioni, sulla composizione dei Consigli
Giudiziari, sul regime del procedimento disciplinare etc.).
La chiarezza utile al dialogo, naturalmente, comporta non
solo labbandono di intenti punitivi e di atteggiamenti
offensivi nei confronti della magistratura, ma richiede
anche che siano individuati obiettivi tecnicamente praticabili
(non sarebbero pochi!) sui quali lavorare, preservando un
assetto costituzionale ed ordinamentale che ancoroggi
è oggetto di alto apprezzamento allestero.
Si passi, perciò, dalla formulazione di astratte
e generiche proposizioni di principio alla individuazione
di precise e concrete strategie di intervento. E queste,
allevidenza, non potranno non riguardare anche lAvvocatura,
la sua deontologia ed il contrasto delle tattiche dilatorie,
la comune formazione con i magistrati ed il regime di incompatibilità
con funzioni di governo o di direzione di articolazioni
parlamentari. Occorre rimediare anche alla scarsa attenzione
che lattuale maggioranza parlamentare sembra dimostrare
rispetto alla necessità di rafforzare lo spazio giuridico
comune europeo e di dar seguito agli obblighi derivanti
dalla cooperazione tra gli Stati: si tratta di prospettive
che riguardano non solo le procedure ed il diritto sostanziale
(temi fin qui affrontati in modo traumatico, insoddisfacente
ed in controtendenza rispetto alla realtà internazionale
con la legge sul rientro occulto capitali illeciti costituiti
allestero, la legge delega sui reati societari e la
riforma del falso in bilancio,la legge sulle rogatorie internazionali,
il compromesso sul mandato darresto europeo dell11.12.2001
al vertice di Laeken e con gli interventi governativi riguardanti
Olaf ed Eurojust), ma anche lorganizzazione degli
uffici.
Tra le riforme di sistema che sono allorizzonte
si collocano pure, nei programmi del Governo, la riforma
del diritto minorile e quella del processo del lavoro: anche
di queste si deve discutere con serietà dintenti
per scongiurare, unitamente alla cancellazione di decenni
di elaborazione culturale e di affinamento di preziose specializzazioni,
lindebolimento della tutela dei minori e della funzione
di garanzia esercitata dalla magistratura del lavoro in
Italia,.
Per finire: il Relatore speciale sullindipendenza
dei giudici e degli avvocati della Commissione delle Nazioni
Unite per i diritti delluomo, con stessa la relazione
del 26.3.02 per la 58.a Sessione annuale della Commissione
stessa, con cui dichiarava di condividere le preoccupazioni
dei giudici, dei pubblici ministeri e dei professori
italiani, ..di essere convinto che siano ragionevoli
i timori dei giudici e dei P.m. che vedono minacciata la
loro indipendenza.., affermava : Nel corso della
missione, nei suoi colloqui con il Ministro della giustizia
e con i Presidenti delle Commissioni giustizia del Senato
e della Camera dei Deputati, il Relatore speciale ha invitato
alla costituzione di una commissione dei rappresentati di
tutte le parti del sistema giudiziario tra cui il Consiglio
superiore della magistratura, lAssociazione nazionale
magistrati, le associazioni degli avvocati, il mondo accademico
e il Ministro della giustizia, allo scopo di indirizzare
la riforma del sistema giudiziario in modo virtuoso e onnicomprensivo.
L'attuale approccio del Ministro della giustizia non è
soddisfacente ed è pieno di sospetto e diffidenza.
(Dopo il rientro dalla sua missione, il Relatore ha saputo
che il Governo ha accettato questa raccomandazione. Il Ministro
della giustizia convocherà una Conferenza nella direzione
indicata). In realtà, tale conferenza non è
stata ancora convocata, mentre il Governo ha presentato
al Parlamento il suo ddl di riforma dellordinamento
giudiziario. Si può ragionevolmente sperare che il
Ministro della Giustizia intenda dare seguito alle assicurazioni
fornite ad un autorevole rappresentante delle Nazioni Unite?
Rivista dell'Associazione nazionale magistrati, 3 dicembre
2002
Armando Spataro, magistrato, è procuratore aggiunto
a Milano.
Già componente del Consiglio superiore della magistratura,
è tra i fondatori del Movimento per la giustizia.
Vedi www.movimentoperlagiustizia.it
Caro ministro, su Armando Spataro le dico...
di Ignazio Patrone
segretario generale di Magistratura democratica
Signor Ministro, lo confesso, ho militato. Ma non sono pentito,
anzi; ero a Piazza San Giovanni contro la Cirami, ai Forum sociali
europei di Firenze e di Parigi, alle manifestazioni per la pace
e al Circo massimo con la Cgil per difendere l'articolo 18.
Ho persino votato alle primarie dell'Unione. E qualche volta,
si immagini, mi sono trovato addirittura in compagnia di Spataro.
Signor Ministro, lo ammetto, continuo a militare. Proprio stamattina
ho firmato in Cassazione la richiesta di referendum che vuole
impedire la promulgazione della riforma in-costituzionale che
a Lei, signor Ministro, sta tanto a cuore. E devo confessarLe
che l'ho fatto con piacere e che lo rifarei mille volte.
Signor Ministro, La rassicuro, militerò ancora, anche
se Lei ha detto che ciascuno è libero di fare ciò
che vuole ma poi deve accettarne le conseguenze. Quali conseguenze?
controllerà anche le mie requisitorie? Auguri e buon
divertimento!
Militerò per quelle colleghe e quei colleghi - specie
i più giovani - che Lei vuole intimidire con la Sua riforma
dell'ordinamento giudiziario, per i tanti magistrati che Lei
ha inteso controllare con ispezioni strumentali e per chi è
stato offeso con manifestazioni (si ricorda quella di Verona
contro il Procuratore Papalia?) a dir poco sconcertanti. Lo
farò per difendere la Costituzione e l'autogoverno e
non avrò ripensamenti, posso assicurarglielo
.
Egregio Ingegnere, sono passati più di quattro anni dalla
Sua nomina, ma Lei continua a non distinguere un provvedimento
emesso da un Ufficio giudiziario della Repubblica dalle opinioni
personali, del tutto legittime e su ben diversi argomenti, di
un collega.
A questo punto non so cosa consigliarLe. Però esamini
pure le carte, Signor Ministro, le legga. Spesso sono noiose
ma qualcosa forse si può imparare.
Saluti, e buona lettura.
L'anti-Usa invitato a New
York
di Marco Travaglio
I«Siamo di fronte a un magistrato militante, l'ultimo episodio,
la sua partecipazione al voto per le primarie, dunque bisogna
guardare con grande attenzione....». Con questa motivazione
il ministro Roberto Castelli ha bloccato la rogatoria avviata
dal sostituto procuratore milanese Armando Spataro, per interrogare
negli Usa i 22 agenti della Cia accusati del rapimento di Abu
Omar. Il sillogismo del ministro è paradossale: Spataro è un
militante, quindi è anti-americano, e quindi, sulla base di
una censura ideologica, si è arrogato il diritto di bloccare
le sue indagini. E adesso le mailing list delle correnti della
magistratura sono inondate di centinaia di messaggi di solidarietà,
sorpresa, sdegno,
Il comitato di presidenza dell'Anm richiede l'intervento del
CSM a tutela dell'autonomo esercizio della funzione giudiziaria
e di Spataro. E il presidente dell'Anm Ciro Riviezzo commenta:
«Il Guardasigilli non delegittimi quei magistrati che, impegnati
nella lotta al terrorismo, rischiano la vita». L'invito che
arriva dai magistrati è chiaro: «Rimbocchiamoci le maniche e
cominciamo a chiedere ai presidenti delle nostre sezioni ANM
di convocarci al più presto per mettere in cantiere le iniziative
più opportune» perchè ciò che è intollerabile non è solo l'arroganza,
ma l'assoluta incompetenza dell'ingegnere di via Arenula. Già
una volta Castelli aveva tentato di bloccare l'attività rogatoriale
per l'inchiesta Mediaset e dovette rapidamente giustificarsi
e fare retromarcia, perchè rischiava di perdere la poltrona.
Adesso ci riprova «mostrando - come dice il segretario generale
del Movimento per la giustizia, Nino Condorelli - l'assoluta
inidoneità a ricoprire la fondamentale funzione di Ministro
di Giustizia». E prosegue: «Castelli, ancora una volta, si dimostra
del tutto privo di quella indispensabile, minima cultura istituzionale
che impone di distinguere, anche nella delicata materia estradizionale,
le competenze e prerogative dell'autorità giudiziaria e quelle
dell'Esecutivo, e quindi le valutazioni attinenti al merito
e "fondatezza" delle indagini e quelle di opportunità politica
riguardanti i rapporti tra Stati, e pertanto i tempi ed i modi
delle richieste da recapitare all'Autorità straniera».
Lo ricordiamo: la magistratura milanese ha chiesto l'arresto
dei 22 agenti della Cia che sul territorio italiano, senza nessun
accordo con l'autorità giudiziaria nazionale, hanno sequestrato
e deportato, prima in una base Nato, poi nelle carceri egiziane,
dove è stato torturato, l'imam Abu Omar.. Ma Castelli non difende
la sovranità nazionale e la credibilità della magistratura.
Al contrario, ostacola le indagini. La buriana scoppia proprio
mentre Spataro è a New York, dove ha partecipato a un convegno
a porte chiuse promosso dalla New York University al quale hanno
preso parte giudici in prima linea nella lotta al terrorismo,
dirigenti dell'Fbi, funzionari di Scotland Yard ed esperti di
tutto il mondo. Gli americani lo considerano talmente ostile
da invitarlo ai loro convegni. «Nel momento in cui io rappresento
l'Italia in questo coordinamento internazionale - commenta Spataro
- vedo che il ministro della Giustizia Castelli mi attacca.
Dice che io sarei un pm prevenuto perchè anti-americano ma se
così fosse non sarei potuto venire a New York».
L'Unità 25/11/05
I veleni dell'ingegnere
di Gioacchino Natoli
Con azzeccati appellativi Giuseppe D'Avanzo, in un articolo
di Repubblica, definisce quell'ingegnere che per una legislatura
si sta cimentando con qualcosa di cui ignora tutto. Ma attenzione:
ciò che con estrema efficacia e determinazione dobbiamo curare
è il sottile veleno di incultura (o di cultura-contro) che un
tale personaggio sta spandendo nel paese. La riedizione di pericolosissime
dottrine nazionalsocialiste ("comunità di popolo"), sottostanti
alle affermazioni sulla pretesa sintonia che i magistrati dovrebbero
avere "con le leggi dell'anima popolare" ovvero con il "vero
e reale diritto del popolo", debbono essere contrastate immediatamente,
senza liquidarle semplicisticamente come stupidate correnti
in alcune valli del bergamasco (e non me ne vogliano gli amici
del luogo).
Il messaggio da alcuni anni ripetuto e praticato, fatto di iniziative
disciplinari contro i magistrati che non sono in linea con il
"pensiero padano" o che fanno mostra dei valori democratici
della Costituzione del '48, alla fine rischia di passare (in
un'opinione pubblica disattenta e poco dotata di strumenti critici)
se poi si modificano ben 53 articoli della Costituzione! Si
tratta di un "monstrum", continua D'Avanzo, che la magistratura
ed il centro-sinistra dovrebbero affrontare con maggiore determinazione.
Ben vengano, allora, iniziative come quella di impegnarci pubblicamente
e tutti insieme (senza furbizie o sottili distinguo) per difendere
la "nostra" Costituzione con tutti i mezzi che l'ordinamento
ci consente, ma senza farci condizionare da paure, lusinghe
o altro ancora.
Dice bene Juanito Patrone nella sua bellissima lettera aperta:
è un "dovere" che soprattutto noi più anziani abbiamo, e che
non possiamo delegare ai colleghi-amici più giovani (anche se
possiamo imparare molto da taluni di loro). Dunque, rimbocchiamoci
le maniche e cominciamo a chiedere ai presidenti delle nostre
sezioni ANM di convocarci al più presto per mettere in cantiere
le iniziative più opportune.
Un abbraccio,
Gioacchino
Militante? E per quale fronte? Leggete
le critiche di Armando Spataro alle scelte dei passati governi
di centrosinistra cliccando sulla freccia qui sotto.
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